lunedì 4 ottobre 2010

4 ottobre 2010

Ciao amici, vi posto questo articolo di Roberto Saviano

©2010Roberto Saviano/Agenzia Santachiara

Ho detto ieri, dialo­gando con i let­tori e gli spet­ta­tori di Repub­blica Tv, che ormai la polit­ica in Italia è una cosa buia, che non appas­siona più nes­suno, né chi la fa, né chi la segue. Su questa affer­mazione mi hanno scritto in tanti, che credo abbiano con­di­viso con me questo sen­ti­mento di impotenza, avver­tito tal­volta come un imped­i­mento, la denun­cia di qual­cosa che ostru­isce la parte­ci­pazione, il nor­male rap­porto che un cit­tadino deve avere con la vita pub­blica del suo Paese. E insieme, c’è un altro sen­ti­mento in chi mi scrive: rab­bia e ribel­lione per sen­tirsi espro­priati dalla polit­ica come stru­mento di impegno e di cam­bi­a­mento, rifi­uto di accettare che questa stag­nazione prevalga.

Chi anal­izza fatti, episodi e metodi della polit­ica ital­iana, in questo momento, non può che avere una reazione di spavento e pen­sare: non è per me. Ricatti, tim­ori, intim­i­dazioni. Tutti hanno paura. Anche io ho paura: non ho nulla da nascon­dere, con la vita ridotta e iper­con­trol­lata cui sono costretto, ma sento questo clima di stra­or­di­naria ostil­ità, e vedo l’interesse a rac­coglierlo, ecc­i­tarlo, uti­liz­zarlo. Mi guardo intorno e penso: come deve sen­tirsi un gio­vane ital­iano che voglia usare in polit­ica la sua pas­sione civile, il suo tal­ento? La polit­ica di oggi lo incor­ag­gia o lo spaventa?

E qual è il prezzo che tutti paghi­amo per questa esclu­sione e per questa dif­fi­denza? Qual è il costo sociale della paura? Chi fa già parte del sis­tema politico nel senso più largo del ter­mine, comunque una respon­s­abil­ità pub­blica e sociale, sa che oggi in Italia qual­si­asi sua fragilità può essere scan­dagli­ata, esi­bita, denun­ci­ata ed enfa­tiz­zata. Non importa che non sia un reato, non importa quasi nem­meno che sia vera. Basta che fac­cia notizia, che abbia un costo, che fac­cia pagare un prezzo, e che dunque serva come arma di ammon­i­mento pre­ven­tivo, di minac­cia per­ma­nente, di rego­la­mento dei conti suc­ces­sivo. Ma la lib­ertà polit­ica, come la lib­ertà di stampa, si fonda sulla pos­si­bil­ità di esprimere le pro­prie idee senza ritor­sioni di tipo per­son­ale. Se sai che espri­mendo quell’opinione, o scriven­dola, tu pagherai con un dossier su qualche vicenda irril­e­vante penal­mente, mag­ari addirit­tura falsa, ma capace di rov­inare la tua vita pri­vata, allora sei con­dizion­ato, non sei più libero.
Siamo dunque davanti a un prob­lema di lib­ertà, o meglio di man­canza di lib­ertà. Siamo davanti a uno strano con­gegno fatto di inter­essi pre­cisi, di per­sone, di gior­nal­isti, di mezzi, di stru­menti medi­atici, che tenta di costru­ire un vestito medi­ati­ca­mente diffam­a­to­rio; ha i mezzi per farlo, ha l’egemonia cul­tur­ale per imporlo, ha la cor­nice polit­ica per utilizzarlo.

Nella soci­età del gos­sip si viene col­piti uno per volta, e noi siamo spet­ta­tori spesso inca­paci di decod­i­fi­care gli inter­essi cos­ti­tu­iti che stanno dietro l’operazione, i man­danti, il movente. Eppure la ques­tione riguarda tutti, per­ché men­tre la macchina infanga una per­sona denudan­dola in una sua debolezza e colpen­dola nel suo iso­la­mento, parla agli altri, sus­sur­rando il mes­sag­gio peg­giore, antipolitico per eccel­lenza: siamo tutti uguali, dice questo mes­sag­gio, non alzare la testa, non cer­care sper­anze, per­ché siamo tutti sporchi e tutti abbi­amo qual­cosa da nascon­dere. Dunque abbassa lo sguardo, ritraiti, rinuncia.

Come si può spez­zare questo mec­ca­n­ismo infer­nale, peri­coloso per la democrazia, e non solo per le sin­gole per­sone coin­volte? L’antidoto è in noi, in noi let­tori, spet­ta­tori e cit­ta­dini, se pre­servi­amo la nos­tra autono­mia cul­tur­ale, se recu­pe­ri­amo la nos­tra capac­ità di giudizio. L’antidoto è nel non recepire il pet­te­golezzo, nel non ripro­porlo, nel non reit­er­arlo. Nel capire che ci si sta ser­vendo di noi, dei nos­tri occhi, delle nos­tre boc­che come mega­foni di pen­sieri che non sono i nos­tri. Nel non pas­sare, come fanno molti addetti ai lavori, le loro gior­nate su siti di gos­sip che mentono a paga­mento, che costru­is­cono con tono scher­zoso la dele­git­ti­mazione, che usano infor­mazioni per­son­ali soltanto per met­terti in dif­fi­coltà. È il metodo dei vec­chi regimi comu­nisti, delle tiran­nie dei paesi social­isti che vol­e­vano far pas­sare i dis­si­denti per viziosi, ladri, nul­lafacenti, gen­taglia che si opponeva solo per basso inter­esse. Mai come nell’Italia di oggi si trova real­iz­zato nuo­va­mente, anche se con metodi dif­fer­enti, quel mec­ca­n­ismo delegittimante.

Dob­bi­amo capire che siamo davanti a un metodo, che lega Fini a Boffo e a Cal­doro nella cam­pagna di scred­i­ta­mento. Dob­bi­amo ripeterci che in un Paese nor­male non si com­per­ano dep­u­tati a bloc­chi, giu­rando intanto fedeltà al responso degli elet­tori. Dob­bi­amo sapere che la legge bavaglio non tutela la pri­vacy ma limita la lib­ertà di conoscere e di infor­mare. Dob­bi­amo sapere che le norme del priv­i­le­gio, gli scudi dal processo, le leggi ad per­sonam sono i veri pol­moni che danno aria a questo gov­erno in affanno, per­ché altri­menti cade l’impero.

Dob­bi­amo sem­plice­mente pre­tendere, come fanno migli­aia di cit­ta­dini, che la legge sia uguale per tutti, un diritto cos­ti­tuzionale, che è anche un dovere per chi ha le più alte respon­s­abil­ità. Non dob­bi­amo farci deviare da falsi scan­dali ingi­gan­titi ad arte. Ogni essere umano fa errori ed ha debolezze. Ogni polit­ica, ogni scelta ha in se delle con­trad­dizioni. E si può sbagliare sem­pre. Ma oggi bisogna affer­mare con forza che se ogni essere umano sbaglia e ha debolezze non tutti gli errori e non tutte le debolezze sono uguali. Una cosa è l’errore, altro è il crim­ine. Una cosa è la debolezza umana, un’altra il vizio che diviene potere in mano ad estor­sori. Com­pren­dendo e smon­tando la diffamazione che viene costru­ita su chi­unque decida di criti­care o opporsi a questo potere, si può resistere, si può persino difend­ere la lib­ertà, la gius­tizia, la legal­ità. Non dichiaran­doci migliori, ma sem­plice­mente diversi. Rifi­u­tando l’omologazione al rib­asso, per sal­vare invece le ragioni della polit­ica e le sue sper­anze: sal­varle dal buio in cui oggi affon­dano, con le nos­tre paure.

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