sabato 25 maggio 2013

26 maggio 2013

Ciao amici, un saluto dall'aereoporto di Marsiglia, tra pochi minuti ci imbarcheremo per Parigi, dove prenderemo il volo che ci riportera' a Tokyo. Ieri sera e' terminata l'ultima gara di coppa del mondo. Sono soddisfatto della prova delle ragazze giapponesi, la migliore e' stata la Nishioka che e' entrata nelle prime 16. Shio ha fatto una buona gara, 6 vittorie su 6 match nel girone poi ha vinto contro una francese e contro una koreana fermandosi di fronte alla Goulobisky poi seconda nella classifica finale. Nel tabellone delle 64 erano approdate anche la Kusano e la Sanada che hanno perso il primo match. La Yanaoka e la Kano eliminate nel girone non mi sono dispiaciute. La Matsumoto continua a fare una scherma che non e' quella del circuito di coppa del mondo, la sua scelta di restare a Wakayama, certamente da rispettare, la mantiene "isolata". La Oishi ha superato il girone ma poi ha perso il match delle 128. Abbiamo passato una bellissima settimana, ospiti del club di scherma  di Marsiglia , un profondo grazie a tutti i dirigenti che ci hanno trattato veramente bene.
Martedi riprenderemo gli allenamenti  per preparare gli imminenti campionati asiatici che affronteremo, come per i campionati del mondo, con una squadra molto giovane; una scelta dettata dalla situazione del nostro settore dopo le olimpiadi di Londra, questa e' il percorso che ho scelto di tracciare per il bene, per il futuro, della federazione giapponese che spero sapra' percorrere.
Ciao

sabato 18 maggio 2013

18 maggio 2013

Ciao amici, un saluto da Tokyo. Domani mattina partiamo per Marsiglia per l'ultima gara di coppa del mondo. Questi sette giorni di allenamento hanno visto una buona presenza da parte di quasi tutto il gruppo, siamo riusciti a fare quindi un discreto lavoro. Purtroppo per i soliti problemi scolastici le cadette Myawaki e Asano non parteciperanno alla gara francese, mentre faranno il loro rientro la cadetta Kano( che si era infortunata una settimana prima dei mondiali) e l'under 20 Yanaoka, che invece si era infortunata subito dopo i mondiali, prima della doppia trasferta asiatica.
Ci alleneremo presso il club di scherma di Marsiglia, e per tutta la settimana saremo loro ospiti. Un grande grazie al Presidente e a tutti gli amici marsigliesi per questo loro gesto.
Ciao

domenica 12 maggio 2013

13 maggio 2013

POVERA ITALIA.... Berlusconi si "video-assolve" alla vigilia della requisitoria su Ruby Oggi riprende il processo, parla la Boccassini. Intanto ieri sera Mediaset ha riscritto la storia delle serate con la minorenne. Mai citata la Tumini, che ha raccontato ai pm le scene erotiche viste ad Arcore di PIERO COLAPRICO - Una volta, nelle scuole di giornalismo, s'insegnava a mettere la notizia nelle prime righe. Ieri, lo speciale di Canale 5, "La guerra dei vent'anni, Ruby ultimo atto", non ha seguito quell'antico precetto, e questa scelta la dice lunga: notizie non ce n'erano, c'era invece l'autoassoluzione del Cavaliere a mezzo tv, il suo "Mai fatto sesso con Ruby", come se il processo si potesse spostare dalla sua sede e celebrare in un altro modo. Per l'ennesima volta compare, dopo un servizio sul comizio di Brescia di sabato che mostra solo una volta la folla degli antipatizzanti, la giovane Ruby: per ascoltare le sue verità al telefono rimandiamo alle registrazioni, perché altri le hanno taciute, e la Ruby di ieri sera, tra luci soffuse, trucco perfetto, voce impostata, è davvero un'altra persona. Le prime dolci domande riguardano i suoi lavori e l'infanzia, ci vuole tempo perché si arrivi alla prostituzione: "Mai, era contro quello in cui credevo". E sui rapporti sessuali con Silvio Berlusconi: "Mai avuti". Tutto questo, però, c'è già nei verbali della minorenne Karima El Mahroug, firmati da lei nell'ormai lontana estate 2010. Dunque dov'è la notizia? Viene più facile chiedere: quante sono le omissioni di queste ricostruzioni? C'è un semplice messaggino che Ruby manda a Nicole Minetti poco dopo le sue deposizioni: "Amorino ti prego mi manderesti per messaggio il numero di Spinelli o di Gesu cristo capisci a me :) ho bisogno, ho cambiato scheda e il loro numero lo perso!!". Gesù, ovviamente, è per Ruby Berlusconi. E per spiegare un po' meglio che razza di piatto sia stato servito ai telespettatori ieri sera, ecco Elisa Toti. Per la tv dell'imputato narra di "una cena al piano di sotto e basta". In realtà, nell'aula del processo - che i giornalisti hanno seguito - Toti, fedelissima di Arcore, aggiunge che nella sala del bunga bunga le ragazze si spogliavano "rimanendo in intimo, cioè reggiseno e mutande, ma "carino"". Questa parte, così importante, è sparita. Infatti parlano la parlamentare e segretaria di Berlusconi Maria Rosaria Rossi, parlano camerieri ancora in servizio ad Arcore, parlano ragazze che sono attualmente stipendiate da Berlusconi e parla anche Carlo Rossella, il quale non ha "l'impressione - dice - che si sia andati oltre un rapporto gioviale". Ma sparisce, guarda caso, Melania Tumini, due lauree, che Nicole Minetti invitò il 19 settembre a una festa, avvisandola che avrebbe trovato "disperate delle favelas e zoccole". La signora Tumini racconta che già tra un piatto e l'altro, a cena, "partirono dei trenini" con le ragazze che "iniziarono a scoprire i seni ed il fondoschiena". Ricorda quanto Berlusconi gioisse, finché qualcuno disse "scendiamo al bunga bunga" e in questa seconda fase Nicole Minetti rimase in coulotte e camicia da uomo, si spostò dal palo della dance per farsi toccare "lascivamente" da Berlusconi, con "baci ... palpeggiamenti sul sedere e sul seno". Anche le altre ragazze mimavano anche "contatti omosessuali" e Carlo Rossella, ricorda Melania Tumini, c'era. Avrà dimenticato? Chissà. Dal Tg 5 spiegano che altre ragazze smentiscono queste versioni, ma il problema è che sono le intercettazioni telefoniche ad aiutare a capire chi mente e chi dice il vero. Per esempio, ancora un sms. Due ragazze si dicono in quale modo conviene attrarre Berlusconi: "Domani se è aperto vado in un sexy shop e prendo un po' di cose.. Per me e te, più troie siamo più bene ci vorrà". Oppure, altre due criticano un'amica: l'hai vista "con quel corpetto e il reggicalze, come mi ero vestita io...". Spesso si parla di compensi, e di quella ragazza che "voleva dormire con lui per spillargli qualcosa la mattina". Nello speciale Silvio Berlusconi parla moltissimo, quasi si commuove spiegando quanto sia stato buono con Ruby, ma a chi parla? Ai suoi elettori, su lui dice che si è "favoleggiato" e "ironizzato", ripete il disco rotto della storia tragica di Ruby, e qui e là, da parte dei cronisti Mediaset, si criticano le "domande morbose del pubblico ministero" Antonio Sangermano. È come se non sapessero che le udienze vengono registrate e trascritte. È tutto nero su bianco, quello che è accaduto al processo, compresa la parte delle telefonate del presidente del Consiglio per far liberare Ruby, minorenne marocchina spacciata per nipote di Moubarak: nei rapporti di polizia spariscono sia il nome di Berlusconi, sia quello del presidente egiziano, e resta solo quello della povera Minetti. La quale, al telefono, di Silvio parlava così: "È soltanto un pezzo di merda. Perché lui m'ha tirato nei casini (...) Io sono una brava persona e posso prendere qualche multa (...) ma di lì ad arrivare a commettere un reato, ti assicuro che c'è di mezzo un mare. Quindi, io gli ho parato il culo, perché la verità è che gli ho parato... e gli sto parando il culo". E non è la sola, pare. Oggi la requisitoria di Ilda Boccassini è davvero tutta da ascoltare, se possibile in diretta: prima che sia taroccata dai media in un altro speciale-flop. (13 maggio 2013)

12 maggio 2013

Ciao Tommy

venerdì 10 maggio 2013

10 maggio 2013

Colle, governo, commissioni: i due mesi che non hanno cambiato l’Italia Alle elezioni di febbraio almeno 17 milioni di italiani hanno chiesto il cambiamento. Ma poi è andata in scena la politica del Gattopardo. E dei problemi eternamente rinviati a saggi, convenzioni, larghe intese... Mentre i protagonisti dei passati fallimenti risorgono con nomine di prestigio, cresce lo scetticismo degli osservatori internazionali sulle reali chance dell'esecutivo di Letta di produre risultati concreti per arginare la crisi di Mario Portanova Il grande ritorno dei Cicchitto e dei Casini ai vertici delle commissioni parlamentari chiude il cerchio. Al voto del 24 e 25 febbraio un quarto degli elettori ha scelto un movimento in rotta di collisione con i vecchi partiti, i Cinque Stelle, e un altro quarto ha dato fiducia alle promesse di cambiamento del Pd, prima fra tutte quella di porre fine all’era berlusconiana. Messi insieme (senza contare i partiti minori e gli astenuti per protesta) fanno 17 milioni di cittadini, la metà esatta di tutti quelli che sono andati alle urne. Nei due mesi successivi, le loro aspirazioni sono state completamente affossate dall’eterno gattopardismo italiano, il “tutto cambi perché nulla cambi”. Non si riesce a trovare l’accordo sul nuovo presidente della Repubblica? Teniamoci quello vecchio. Non si riesce a fare un nuovo governo? Mettiamo insieme la vecchia maggioranza e la vecchia opposizione. Non c’è il minimo accordo sulle riforme? Rimandiamo tutto a una Convenzione. E’ la politica dell’eterno rinvio, messa in atto dalla stessa classe politica che finora non è riuscita a risolvere i drammatici problemi dell’Italia affogata nella crisi, quando non ha contribuito a provocarli. Non a caso il neonato governo Letta è stato accolto con scetticismo dagli osservatori economici internazionali. Il Financial Times demolisce il “libro dei sogni” del leader Pd in materia fiscale, non tanto per sfiducia nella persona quanto per legittimo sospetto sulla possibilità che la larga intesa con Silvio Berlusconi si riveli efficace alla prova dei fatti. E sul New York Times il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman cala sulla compagine benedetta da Napolitano una prematura pietra tombale: “L’Italia è un caos. Sì, ha finalmente un presidente del Consiglio, ma le probabilità che vengano adottate riforme economiche serie sono minime”. Del resto le soluzioni dovrebbero essere trovate dagli stessi che non le hanno trovate nella scorsa legislatura, né nella fase berlusconiana, poi traumaticamente interrotta, né in quella montiana. Dopo l’esperienza dell’appoggio bipartisan al governo tecnico, già ampiamente rinnegata soprattutto da Berlusconi, Pd e Pdl si trovano costretti di nuovo a una coabitazione forzata, gravata per di più dal peso degli interessi personali di Silvio Berlusconi in fatto di giustizia e televisioni. Ecco una breve cronaca dei due mesi che non hanno cambiato l’Italia. DA BERSANI AI SAGGI. Alle elezioni di febbraio il Pd vince, ma perde. Berlusconi perde, ma vince. I Cinque Stelle fanno il pieno con il 25% dei voti. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con il mandato agli sgoccioli, si dà da fare perché nasca un governo. Incarica il segretario del Pd Pierluigi Bersani che, dopo le consultazioni di rito orientate a un accordo con i Cinque Stelle, non ce la fa. I “grillini” sono irremovibili: nessuna fiducia a un esecutivo, solo la disponibilità a votare singoli provvedimenti graditi, per esempio sul fronte anti-casta. Ma il Parlamento può funzionare senza un governo? Si apre il dibattito. Napolitano escogita allora una soluzione inedita: nomina dieci saggi (tutti uomini) incaricati di formulare proposte in fatto di riforme istituzionali ed economia. Il problema del governo è rinviato. L’ELEZIONE DEL “NUOVO” PRESIDENTE. Ad aprile scade il mandato di Napolitano e le Camere si riuniscono per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Dopo i tavoli di rito, Bersani promette una “sorpresa”, poi invece candida Franco Marini. Il Pdl da un lato rivendica la poltrona per sè, dall’altro non sembra in grado di scovare nelle sue ampie schiere un nome sufficientemente autorevole e presentabile, tanto che finisce per puntare su un candidato Pd, Giuliano Amato. Il Movimento Cinque Stelle rilancia con Stefano Rodotà, storico esponente del Pci-Pds, quindi altamente digeribile per il Pd. E annuncia che una convergenza dei democratici su quel nome aprirebbe “praterie” per un accordo di governo. Due piccioni con una fava, ma niente da fare, anche perché il giorno dopo ci pensa Beppe Grillo a gelare l’entusiasmo con un duro attacco a Bersani. Il Pd si spacca, nel segreto dell’urna brucia sia Marini che – per l’ennesima volta – Romano Prodi, e il voto per il Quirinale si incaglia. La soluzione? E’ senza precedenti nella storia repubblicana: un accordo Pd-Pdl-Scelta civica per rieleggere Napolitano, classe 1925, che nei mesi precedenti aveva detto chiaramente di non essere disponibile a un secondo mandato. Poco importa, intanto un altro problema è rinviato. E LARGHE INTESE FURONO. Nel Pd intanto monta la protesta per l’occasione mancata con Rodotà. Bersani si dimette da segretario. Il neo e anche ex presidente Napolitano ribadisce che punta alle larghe intese. Altri tavoli, ritorna in pista anche Amato, ma alla fine la spunta il vicesegretario del Pd Enrico Letta, estrazione post Dc e nipote del “cardinale” berlusconiano Gianni. Il 29 aprile il governo Letta ottiene alla Camera la fiducia di Pd, Pdl, Scelta civica, Centro democratico e Svp. Votano contro M5S e Sel. La Lega nord si astiene. Ottenuta la fiducia anche al Senato, il governo Letta entra ufficialmente in attività, con il vice Angelino Alfano a custodire l’ortodossia berlusconiana. Ci sono diversi tecnici di estrazione montiana e qualche ventata di novità, come la congolese Kyenge all’Integrazione e l’olimpionica Idem allo Sport. Il Pd rinuncia a schierare big, a parte Franceschini ai rapporti con il Parlamento, il Pdl no, ed ecco tra gli altri il “saggio” Quagliariello e il ciellino Lupi. Già protagonisti della passata, e fallimentare, stagione berlusconiana. Tra i sottosegretari, da notare il ripescaggio di Gianfranco Miccichè, ex vicerè berlusconiano in Sicilia. Poi Jole Santelli, Filippo Bubbico, Michaela Biancofiore… Nel popolo del Pd il malcontento cresce ulteriormente: “Perché sì a Berlusconi e no a Rodotà”, si chiedono dirigenti e militanti? RIFORME? CI VUOLE UNA CONVENZIONE. Non si sbaglia mai a dire che in Italia urgono “le riforme”. A farle ci provò per esempio la Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema negli anni Novanta, senza risultato, se non resuscitare un Berlusconi assai appannato. Si cimentarono poi i “saggi di Lorenzago“, tutti di centrodestra (Calderoli-Nania-D’Onofrio-Pastore), ma i loro sforzi furono infine vanificati da un referendum costituzionale promosso dal centrosinistra. Nella scorsa legislatura, gli stessi partiti che oggi si (ri)candidano a stilare le riforme non sono stati in grado neppure di fare una nuova legge elettorale, che pure è una norma ordinaria, nonostante le ripetute pressioni dello stesso presidente Napolitano. Allora perfettamente ignorato, oggi largamente osannato. Anche quando, nel discorso del nuovo insediamento, ha strigliato per l’ennesima volta i medesimi partiti per l”imperdonabile” nulla di fatto sulle riforme. Come se ne esce? Con una “Convenzione“, che in un primo tempo avrebbe voluto presiedere Silvio Berlusconi in persona, nel tentativo di ritagliarsi un ruolo di “padre nobile” tra un processo e l’altro. Non è certo che la Convenzione si faccia davvero, e se si farà è difficile che produca risultati concreti. Ma intanto, mentre i dati sull’economia e sull’occupazione in Italia si fanno sempre più drammatici, un altro problema è felicemente rinviato.

giovedì 9 maggio 2013

10 maggio 2013

Ciao amici, abbiamo ripreso gli allenamenti al Jiss che ci porteranno ai campionati asiatici, alle universiadi e ai campionati del mondo, dopo aver terminato la coppa del mondo con la prova di Marsiglia. Non ci sara' nessuna preparazione particolare, nessun carico di lavoro speciale gli appuntamenti finali per noi non possono che essere un semplice passaggio di un continuo lavoro di apprendimento. Lavoreremo su minicicli settimanali , inserendo sedute di preparazione fisica, per mantenere un buon libello di condizione. Spesso lavorero' anche il sabato e la domenica, per permettere a quelle ragazze che non possono venire sempre di mantenere un buon ritmo di lavoro. Ho comunicato ad Emura San le squadre per le tre competizioni ufficiali di questa stagione. Ai campionati Asiatici e ai campionati del mondo schiereremo Nishioka(24) Yanaoka (18) Kano (17) e Myawaky(16). Una squadra molto giovane che avra' cosi' la possibilita' nel tempo di crescere e consolidarsi. Alle universiadi tireranno sempre Nishioka e Yanaoka con l'aggiunta della Kusano, non potremo portare la quarta atleta per un problema di strategia di budget; di tutte le armi solo il f.m. Schierera' 4 atlete. Ciao

10 maggio 2013

Così Berlusconi utilizzava i fondi neri per corrompere politici e giudici Si conferma che sulle oltre 60 società del Group B transitarono fondi neri per quasi mille miliardi di lire. In vent'anni evasi centinaia di milioni di MASSIMO GIANNINISI TORNA in piazza, come ai bei tempi. Tutti "con Silvio", che nei giorni festivi rispolvera la mimetica e l'elmetto, smettendo i panni inconsueti e severi dello Statista indossati nei giorni feriali. Contro le "toghe rosse". Contro la "gogna a regola d'arte". Contro "le procure d'assalto", gli "inquisitori accaniti", i "grandi orologiai" che regolano sapientemente le loro lancette sulle fortune del Cavaliere. Soprattutto, contro quest'ultima "sentenza impresentabile" nel processo d'appello sui diritti cinematografici Mediaset, che conferma una condanna pesantissima a carico di Silvio Berlusconi. Di fronte all'ennesima, grave disavventura giudiziaria del suo leader, la grancassa della destra produce il solito rumore. Un fragoroso profluvio di stilemi indignati e di frasi già fatte, che servono a confondere e a nascondere. Tutti si chiedono "cosa succede", adesso che l'ossessione giudiziaria del capo del Pdl minaccia la già fragilissima esistenza del "governo di servizio" guidato da Enrico Letta. Ma nessuno si chiede piuttosto "cosa è successo", per giustificare una sanzione così devastante a carico del principale "azionista di riferimento" della strana maggioranza tripartisan. Quella che si deve confondere, agli occhi dell'opinione pubblica, è l'anomalia storica di un imprenditore che ha scelto di "scendere in campo" anche per sottrarsi al giudice penale, con la pretesa di riconoscere come suo unico giudice naturale il popolo sovrano. Oggi, complice una sinistra distrutta e disarmata, Berlusconi azzarda una sottile operazione culturale: risorgere come "uomo di Stato", attraverso la "grande politica" delle larghe intese, che monda ogni peccato e depotenzia ogni reato. Solo in questo modo, come teorizza Giuliano Ferrara, potrà "obliterare ogni valore morale delle condanne che lo riguardano". Quella che si deve nascondere, agli occhi dei cittadini-elettori, è la responsabilità penale di un imputato "eccellente" e tuttora innocente (fino al giudicato definitivo) ma che ha già subito 17 processi, 14 assoluzioni (10 per effetto delle leggi ad personam) e 3 condanne, compresa l'ultima dell'altroieri. Oggi, complice la propaganda egemone e il nuovo clima di "unità nazionale", Berlusconi ritenta l'audace colpo: banalizzare la verità dei suoi reati dietro la cortina fumogena della "persecuzione giudiziaria". Solo in questo modo si può cambiare il nome alle cose, sollevando un polverone intorno alla forma (una "sentenza folle basata solo sull'eliminazione dell'avversario per via giudiziaria") per coprire la sostanza (ll contenuto di quella stessa sentenza, che lo inchioda a 4 anni di carcere e 5 anni di interdizione). E allora vale la pena di rileggerla, questa pronuncia della Corte d'Appello di Milano, che ricalca e conferma quella di primo grado dell'ottobre 2012. Vale la pena di capire cosa c'è dietro quella condanna per "frode fiscale". Detta così sembra poco, e invece rivela un sistema di "gestione aziendale" che, attraverso la provvista estera e i fondi neri, è quasi sempre al servizio della "corruzione politica". Ieri a vantaggio di Craxi e di Metta. Oggi (verrebbe da pensare) del faccendiere Lavitola o del senatore De Gregorio. LA FRODE FISCALE: PERCHÉ SERVONO I FONDI NERI Al Cavaliere, per il periodo 2002 e 2003, viene contestata una frode al fisco di circa 7 milioni di euro, per l'acquisto di diritti su film e prodotti tv comprati e rivenduti, a prezzi gonfiati, tra società offshore controllate dalla stessa Mediaset. I pm De Pasquale e Spadaro avevano scoperto operazioni fraudolente per 370 milioni di dollari. All'inizio del processo Berlusconi era infatti indagato anche per appropriazione indebita e falso in bilancio. Ma le leggi ad personam hanno dato buoni frutti: due capi d'imputazione sono caduti, grazie alla prescrizione accorciata. L'entità delle cifre si è ridotta. Ma lo schema scoperto e descritto dai magistrati, nelle motivazioni della sentenza di primo grado, è chiarissimo. "Le imputazioni descrivono un meccanismo fraudolento di evasione fiscale sistematicamente e scientificamente attuato fin dalla seconda metà degli anni '80 nell'ambito del gruppo Fininvest, connesso al cosiddetto "giro dei diritti televisivi"... I diritti di trasmissione televisiva, provenienti dalle majors o da altri produttori e distributori, venivano acquistati da società del comparto estero e riservato di Fininvest, e quindi venivano fatte oggetto di una serie di passaggi infragruppo, o con società solo apparentemente terze, per essere poi trasferite ad una società maltese che a sua volta li cedeva, a prezzi enormemente maggiorati, alle società emittenti. Tutti questi passaggi erano privi di qualunque funzione commerciale...". Dunque, dagli atti si evince un dispositivo contabile codificato e finalizzato a produrre denaro fittizio. Secondo i magistrati, Berlusconi ne era "il dominus indiscusso". "Il cosiddetto "giro dei diritti" si inserisce in un contesto più generale di ricorso a società offshore anche non ufficiali ideate e realizzate da Berlusconi avvalendosi di strettissimi e fidati collaboratori quali Berruti, Mills e Del Bue". La "riferibilità" al Cavaliere della "ideazione, creazione e sviluppo del sistema che consentiva la disponibilità di denaro separato da Fininvest ed occulto", secondo la sentenza, è "pacifica". Com'è altrettanto pacifico che l'intero meccanismo sia stato ideato "per il duplice fine di realizzare un'imponente evasione fiscale e di consentire la fuoriuscita di denaro dal patrimonio Fininvest/Mediaset a beneficio di Berlusconi". Il Cavaliere è "l'ideatore". Ma anche il "beneficiario" e, come direbbe Ghedini, "l'utilizzatore finale". Ma a cosa è servito questo "disegno criminoso", che secondo i giudici dimostra la "naturale capacità a delinquere" del capo della destra italiana? Che uso è stato fatto, nel corso del tempo, di questo fiume sommerso di soldi finiti nella disponibilità dell'ex premier anche dopo la sua discesa in campo del '94? La risposta, in buona parte, sta ancora negli atti giudiziari e nelle sentenze. Non solo nell'ultima, che riguarda i diritti tv. Ma anche nelle precedenti, e non meno inquietanti. ALL IBERIAN E CRAXI, MILLS E LE MAZZETTE AI GIUDICI Il "motore" della macchina che sforna i fondi neri, come spiega la Corte d'appello, è custodito nel "comparto estero di Fininvest", cioè nelle società offshore, situate in Paesi come le Isole Vergini, il Jersey e le Bahamas... sui conti delle quali... far transitare il denaro...". L'esistenza di queste società è "documentalmente provata". Century One e Universal One, Principal Communication e Principal Network. Edsaco e Amt. Medint e Lion. Poi Arner e Ims. Una rete di spa più o meno occulte. Le prime fanno parte del "Fininvest Group B", cioè il "comparto estero riservato" sul quale la casa madre del Cavaliere ha scaricato, dalla fine degli anni '80, gli "affari sporchi". Non lo dice solo la sentenza della Corte d'appello dell'altroieri. Ma l'intera parabola processuale di Berlusconi, che testimonia l'esistenza di un polmone finanziario pensato e costruito per pagare tangenti. I giudici di secondo grado, non a caso, citano la pronuncia con la quale il 25 febbraio 2010 la Cassazione ha condannato in via definitiva Mills, che per coprire Berlusconi dichiara il falso in aula. "Per la Fininvest - scrive la Suprema Corte - erano state create tra 30 e 50 società, costituite prevalentemente nelle Isole del Canale e nelle Vergini... Tra queste società vi era All Iberian, con sede a Guernsey, divenuta nel corso della propria attività "la tesoreria di un gruppo di società offshore"... Per evitare gli effetti della Legge Mammì (che aveva fissato un tetto al possesso delle reti televisive in Italia) era stata utilizzata la società Horizon, posseduta da Mills, che aveva costituito la società lussemburghese Cit...". Più avanti gli stessi giudici di Cassazione, citando un'altra sentenza definitiva emessa nella vicenda Arces, ricordano che sempre dal segretissimo "Fininvest Group B" vennero fuori le mazzette con le quali "la Guardia di Finanza era stata corrotta affinché non venissero svolte approfondite indagini in ordine alle società del gruppo Fininvest". E infine, ancora la Cassazione ricorda che anche "i fatti relativi all'illecito finanziamento in favore di Bettino Craxi da parte di Fininvest, sempre attraverso All Iberian, erano stati definitivamente dimostrati, sulla base di plurime prove testimoniali e documentali...". A questo punto si può trarre qualche conclusione. Gli atti certificano, ancora una volta, che i soldi del comparto B delle società Fininvest, direttamente riconducibile a Berlusconi, servirono a foraggiare politici e magistrati fin dai tempi della Prima Repubblica. Si conferma (come scrisse Giuseppe D'Avanzo sul nostro giornale, l'ultima volta nel luglio 2011) che sulle oltre 60 società del Group B "very discreet" della Fininvest transitarono allora fondi neri per quasi mille miliardi di lire. I 21 miliardi che hanno ricompensato Craxi per la legge Mammì. I 91 miliardi, poi trasformati in Cct, erogati per la stessa ragione ad "altri politici" mai scoperti. Le risorse destinate da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma, tra i quali Vittorio Metta, per manipolare il verdetto sulla battaglia di Segrate. Gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Mondadori, Standa, Rinascente. Questo dicono le carte, a dispetto delle urla di piazza del Cavaliere e delle chiacchiere da talk show dei suoi corifei. E questo, oggi più che mai, è importante e doveroso ricordare, per non cedere al "cupio dissolvi" collettivo in nome del quale si vuole riscrivere la Storia italiana di questi anni. Dice un deputato pdl: "In questi giorni che vedono le forze politiche faticosamente impegnate in una fase di pacificazione e di coesione nazionale, il Palazzo di giustizia di Milano appare sempre più come quel giapponese armato fino ai denti, inconsapevole della fine della guerra...". Ecco l'arma finale per la "distrazione di massa". In questo Ventennio, in Italia, non c'è stata nessuna "guerra". Ma anche ammesso che ci sia stata, e che ora sia finita grazie al condono tombale e morale delle "larghe intese", quello che non può finire è lo Stato di diritto. È il primato della Costituzione, che vuole tutti i cittadini uguali di fronte alla legge.

9 maggio 2013

Intervista ad Ambrosoli che ha lasciato l'aula del Pirellone al momento della commemorazione di Andreotti: "Per lui né rancore né oblìo. Porto rispetto per la morte di una persona. Ma non dimentico quello che ha rappresentato nella vicenda di mio padre" di ORIANA LIS0 MILANO - "Non avevo riflettuto, prima, sul fatto che potesse esserci la commemorazione di Giulio Andreotti anche nell'aula del Consiglio regionale. Quando ho sentito che l'annunciavano, in quel momento ho deciso di uscire". Chiunque conosca Umberto Ambrosoli ne sottolinea l'estrema educazione e un'attenzione alla forma quasi d'altri tempi. Non quando la forma diventa sostanza. "Il paradosso è che questo gesto mi mette quasi in imbarazzo, per il conflitto - non il contrasto - tra la mia veste istituzionale e la mia storia personale, che ne è una componente determinante". I giudizi negativi (del governatore Maroni, di esponenti del Pdl) non lo smuovono - "non entro nelle polemiche" - ma ripassa tutti i messaggi di chi gli ha detto: è come se uscissi dall'aula con te. E l'sms di sua madre Annalori, uno stringato e assoluto: "Condivido". E quindi, Ambrosoli: come lo risolve questo conflitto tra l'uomo e l'istituzione? "Non è una scappatoia: le istituzioni sono fatte di persone e quindi, nonostante tutto il rispetto dovuto davanti alla morte di una persona, nonostante sia il primo a ritenere giusta la commemorazione di un uomo delle istituzioni, io non posso dimenticare cosa ha rappresentato Andreotti nella storia di mio padre Giorgio". L'ha fatto per onorare la sua memoria? "Ma caspita, l'ho fatto anche per me stesso. Ho un dovere nei confronti della mia, di coscienza. Non posso dimenticare quello che è stato soltanto per un ipotetico dovere istituzionale. Il comportamento che, per sua stessa ammissione, Giulio Andreotti ha avuto nella vicenda che ha condotto, in ultimo, alla morte di mio padre, non dice tutto di lui. Può avere fatto cose meravigliose nella sua vita. Ma è chiaro che per me quella conta, quel lato oscuro che ho vissuto sulla mia pelle". Il pensiero va all'intervista del 2010 di Giovanni Minoli ad Andreotti: disse che suo padre "se l'andava cercando". In quel momento che effetto fecero a lei e alla sua famiglia quelle parole? "La sensazione che ricordo nettamente fu quella di un modo di intendere la responsabilità pubblica lontano anni luce dagli esempi che avevo avuto, da quello che hanno trasmesso i miei genitori a me e ai miei fratelli. Era un modo che anteponeva l'interesse personale alla funzione che mio padre era stato chiamato a svolgere. Uno stravolgimento inaccettabile. Come dissi allora, però: con questa frase Andreotti si è dimostrato coerente con la sua storia, con il processo di Palermo, con quello per l'omicidio di mio padre. Ciascuno, con questa frase, potrà arricchire il proprio giudizio su quanto è stato". Nel pieno delle polemiche Andreotti disse che l'avevano frainteso. Provò mai a spiegarsi di persona con lei, a chiedere scusa? "Non voglio, e questo davvero per rispetto alla morte di una persona, entrare in questo genere di memorie. Comunque: quello che ha detto in quell'intervista è lì. Non possono esserci fraintendimenti". Con la morte di Andreotti si dice che i segreti d'Italia vengano sepolti con lui. "Penso che un fatto doloroso come la morte sia una un'occasione di riflessione su quello che è la memoria del nostro Paese. Ritengo fuorviante concentrare l'attenzione sul fatto che non abbiamo, e forse non avremo più, chiarezza su quegli anni. Cosa cambierebbe? Il disvalore che proviamo nell'immediato, quando accade qualcosa di tragico, vergognoso, drammatico, l'abbiamo già dimenticato il mattino dopo. La nostra capacità di indignarci è pari a quella di provare immediatamente indulgenza. Non sarà solo un problema degli italiani, certo. Ma io parlo di quello che conosco". Siamo un popolo senza memoria? "Peggio: siamo portati a giustificare tutto, e questo conduce all'immobilismo, all'incapacità di cambiare, anche se a parole siamo bravi a dirlo. Aggiungo: troppi segreti nella storia d'Italia? Quello che sappiamo già è così tanto che, se agissimo di conseguenza, vivremmo in modo molto diverso". Nando Dalla Chiesa non dimentica che Andreotti non andò al funerale di suo padre, il generale Dalla Chiesa. "Preferisco i battesimi", disse. Si può, a un certo punto, dimenticare, e perdonare? "Trovo la parola "perdono" un po' morbosa. Le parole di Nando, il mio gesto che tante polemiche, involontarie, sta creando, ci dicono, invece, che è possibile vivere il rapporto tra la memoria e le nostre azioni attuali senza essere condizionati né dal rancore né dall'oblio". Se i suoi figli dovessero un giorno chiederle chi era Giulio Andreotti, cosa risponderà? "Ho scritto un libro ("Qualunque cosa succeda", ndr) per raccontare anche chi è stato Giulio Andreotti, quali sono state le sue responsabilità. Potranno trovare lì le risposte che cercano".

martedì 7 maggio 2013

8 maggio 2013

Andreotti non andò al funerale di mio padre. Preferiva i battesimi di Nando dalla Chiesa Non posso negarlo. Con lui avevo una questione personale. Per via dell’assassinio di un prefetto che mi era caro. Ucciso a Palermo il 3 settembre del 1982. Che era stato al suo diretto servizio: lui capo del governo, il prefetto – allora generale dei carabinieri – alla guida della lotta al terrorismo. Una settimana dopo quel 3 settembre venne intervistato alla festa dell’Amicizia (ossia della Democrazia cristiana) da Giampaolo Pansa. Che gli domandò perché non fosse andato ai funerali del prefetto. “Perché preferisco andare ai battesimi”, rispose lui mandando in sollucchero il pubblico. Era la sua ironia, quella che deliziava politici e giornalisti cortigiani. Poi andò dai democristiani siciliani e li invitò tra gli applausi a respingere “il falso moralismo di chi ha la bava alla bocca”. Ricordai perciò subito quel che il prefetto mi aveva detto passeggiando in campagna qualche settimana prima di essere ucciso, per spiegarmi perché gli fosse così duro rappresentare la legge a Palermo: “Gli andreottiani ci sono dentro fino al collo”. Feci a un quotidiano alcuni di quei nomi, invitando a cercare nei loro ambienti di partito i mandanti del delitto e mi costò un marchio di infamia. Scoprii poi che l’uomo politico si era pubblicamente pronunciato contro la nomina a prefetto della vittima sostenendo che il vero pericolo venisse da Napoli e non da Palermo, dove pure avevano tirato giù in pochi anni tutte le più alte cariche istituzionali. Scoprii ancora che il prefetto, dopo un’intervista del sindaco (andreottiano) di Palermo aveva scritto al capo del governo, Giovanni Spadolini, di essersi sentito minacciato “dalla famiglia politica più inquinata del luogo”. Parole grandi, cupe, che Spadolini, galantuomo, lasciò senza risposta. Scoprii perfino che il prefetto neonominato era stato invitato a colloquio dal suo ex superiore e gli aveva “dato però la certezza che non avrò riguardo per i suoi grandi elettori in Sicilia”. E che questi gli aveva risposto facendo misterioso riferimento al rientro in Italia di Pietro Inzerillo in una bara e con un biglietto di dieci dollari in bocca. E scoprii ancora (me lo disse il giudice Falcone) che il kalashnikov che aveva ucciso Totò Inzerillo, il fratello di Pietro, era lo stesso che aveva ucciso il prefetto. A volte le questioni personali fanno vedere ciò che gli altri non vedono, per pigrizia, per sonno della ragione, o per questioni personali eguali e contrarie. A volte danno perfino il coraggio di dire ciò che gli altri tacciono. Fu allora che decisi di scrivere un libro per raccontare quel “delitto imperfetto” che aveva lasciato sullo sfondo alcune sagome ben individuabili. Lontane, sfumate, ma visibili. Come quando nulla di preciso si sa sui fatti ma molto si capisce del clima morale e delle affinità elettive. Prima di avvisi di garanzia e di processi. Per proteggermi scrissi il libro di nascosto e lo feci uscire in Francia. Pubblicarlo in Italia fu proibitivo, perché l’uomo era potente e riverito. Era rimasto quasi trenta volte immune da richieste di autorizzazione a procedere in Parlamento. E lo avevano appena applaudito a scena aperta anche alla festa dell’Unità (del Partito comunista) a Roma. Quando il libro uscì con Mondadori, grazie a Giulio Bollati e a Corrado Stajano, lui vergò per me sul Messaggero il suo commento: “Spero che possa pentirsi di quel che ha scritto”. Proprio così: “pentirsi”, non “ravvedersi”. Il marchio di infamia divenne a vita, perché il potere ha memoria di elefante e impersonale, si tramanda nelle generazioni. Chiamato a spiegare queste cose nel maxiprocesso, prima dichiarò il falso poi alluse a cose cattive dette dal prefetto nei miei confronti. Ne venne richiesta l’incriminazione in aula, ma ne uscì con un espediente da allibire. Alla fine il prefetto ebbe giustizia inaspettata in Cassazione. La mafia per vendicarsi delle mancate promesse di impunità uccise il capo degli andreottiani in Sicilia, i cui ricchissimi amici erano già finiti senza scampo nel processo. Lui dimenticò le cresime e anche i battesimi. E quella volta, dieci anni dopo, scese a Palermo per un funerale. Perché, come diceva Mao, ci sono morti più leggere di una piuma e morti che pesano come montagne. il Fatto Quotidiano, 7 Maggio 2013

7 maggio 2013

lunedì 6 maggio 2013

6 maggio 2013

ciao amici, sono appena rientrato a Tokyo, dalla gara di Shanghai. Anche nella prova cinese non abbiamo brillato; nella gara individuale solo la Wada ha raggiunto il tabellone delle 64 perdendo poi il primo match. La Kusano aveva superato il girone ma ha perso il match delle 128. Nishioka, Oishi, Miyawaky, Sanada, Kawamura, Asano, Takahashi e Kuraci sono uscite nel girone.....un'altra brutta prova , purtroppo confermata nella gara a squadre, abbiamo perso da Canada, Venezuela e Cina. L'unica cosa che mi può consolare è l'esperienza che sto facendo fare a delle piccole cadette ed under 20. Ora un paio di giorni di riposo e poi riprenderemo gli allenamenti in previsione dell'ultima gara di coppa a Marsiglia, dove andremo una settimana prima per allenarci con la nazionale francese under 20 e con le americane. Ciao