venerdì 28 giugno 2013

28 giugno 2013


Riforme costituzionali: se a scriverle sono gli amici dei ladri
Peter Gomez
Il Fatto Quotidiano
Visto  che la storia spesso si ripete in farsa, l’ultimo capitolo della ridicola tragedia italiana ruota di nuovo intorno alle riforme e alla giustizia. Esattamente come era accaduto nel 1997, con la commissione Bicamerale di dalemiana memoria, tra i nuovi padri ricostituenti in quota Pdl prende corpo l’idea di riscrivere pure il titolo IV della Costituzione: quello che stabilisce poteri, diritti e doveri della magistratura.
Del resto si sa come vanno queste cose: nelle Camere si parla sempre di fondare una nuova Repubblica, ma tutti quelli che hanno indagini o processi in corso, pensano soprattutto alle Procure della Repubblica.
Sedici anni fa però Oscar Luigi Scalfaro – il Vecchio presidente – almeno ci aveva provato a dire di no. “La Bicamerale non perda tempo con la giustizia, ma si occupi delle riforme di sua competenza” aveva tuonato il Capo dello Stato restando, di lì a poco, assolutamente inascoltato. Oggi invece, nella maggioranza delle larghe intese a dire di no è solo, il Pd. Mentre Giorgio Napolitano, il nuovo Eterno Presidente, per il momento tace.
Male, perché gli avvenimenti di queste settimane non fanno presagire niente di buono. All’indomani dell’ultima condanna a sette anni, Silvio Berlusconi è stato ricevuto al Colle senza apparenti imbarazzi. La sua storia – tra bonifici a Craxi, mazzette versate dal suo avvocato ai giudici,tangenti allungate dai suoi collaboratori alla Guardia di Finanza, più il noto contorno diminorenni, presunte frodi fiscali e concussioni – fa di lui un personaggio in cui nei paesi normali non si discute nemmeno su come riscrivere il codice della strada. Qui, invece, il Cavaliere può parlare di governo, riforme e futuro del Paese. E lo fa dopo che in aprile i dieci supposti saggi scelti da Napolitano per redigere una sorta di programma condiviso tra Pd e Pdl, si sono a lungo occupati di giudici e leggi penali.
Allora il supposto saggio e futuro ministro per le Riforme, Gaetano Quagliariello, era apparso molto soddisfatto.“Il capitolo nel quale più significativa è risultata la piena legittimazione di importanti posizioni fin qui oggetto di pregiudizio è quello della giustizia”, aveva detto prima di elencare i provvedimenti, molti dei quali ideati di natura costituzionale, per depotenziare leintercettazioni telefoniche, abbreviare i tempi d’indagine, mettere una mordacchia alla stampa, intimorire i magistrati (c’era la creazione di una sorta di Csm di secondo grado i cui membri sono nominati un terzo dal parlamento e un terzo dal Capo dello Stato), abolire in caso di assoluzione l’appello.
Oggi invece Quagliariello getta acqua sul fuoco. Per lui dietro l’emendamento Pdl, firmato tra gli altri da un imputato per mafia, uno per peculato e uno per abuso d’ufficio, c’è una semplice iniziativa tecnica. “Vi è l’esigenza condivisa che eventuali correlazioni derivanti dalle riforme istituzionali che dovessero cadere al di fuori delle materie indicate nel disegno di legge attualmente in esame possano essere affrontate dal Parlamento”, dice senza specificare chi condivida l’esigenza. I cittadini? I ladri? Gli amici dei ladri? Il resto del governo?
Letta junior e Napolitano se ci siete (e non ci fate) per favore, battete un colpo.

martedì 25 giugno 2013

25 giugno 2013


Sentena Ruby, Berlusconi 7 anni e li dimostra.
Marco Travaglio

Dunque, per il Tribunale di Milano, Silvio Berlusconi ha costretto la Questura di Milano a violare la legge per rilasciare Ruby prima che parlasse e ha avuto incontri ravvicinati di tipo sessuale a pagamento con una minorenne.
E, per salvarsi dalla condanna, ha pagato decine di testimoni (fra cui due deputati) per giurare il falso dinanzi ai giudici.
Chiunque conoscesse le carte lo sapeva anche prima che lo dicessero i giudici: restava solo da capire se i fatti, assolutamente certi, configurassero dei reati, e quali.
Ora tutti domandano ai berluscones se, dopo la condanna a 7 anni in primo grado, il governo rischia di cadere. Ma la domanda è sbagliata, o meglio è giusta ma rivolta alle persone sbagliate: bisognerebbe chiedere a Enrico Letta e al Pd che cosa ci facciano al governo con un alleato così.

sabato 22 giugno 2013

22 giugno 2013







 Quanto mi mancherà questa città meravigliosa, sono stati tre anni meravigliosi.
 

venerdì 21 giugno 2013

21 giugno 2013


RUBY IL PROCESSO PARALLELO SU RETE 4
Nicola D'angelo
Il fatto Quotidiano
Una nuova puntata su Rete 4 della controrequisitoria televisiva per il processo Ruby. Attacchi ai magistrati di Milano, ricostruzioni di parte riferite come unica verità, tutto come al solito. Nessuno ovviamente interviene. Eppure le norme ci sarebbero, come ho avuto modo di dire proprio su questo blog, a partire dalle regole dell’Agcom sui processi in Tv. Volute per stoppare le trasmissioni di Santoro e Travaglio, se ne chiese all’epoca una rigida applicazione. Oggi neanche a parlarne. Ma quelle regole non sono state abrogate. Esse imporrebbero diverse cose, prima fra tutte la ricostruzione veritiera dei fatti.
Tuttavia, la cosa peggiore è un’altra. É l’idea che si possa impunemente fare un processo parallelofuori da quello previsto dalla legge e che questo sia possibile perché l’imputato è anche proprietario delle reti televisive su cui questo controprocesso si svolge. Ecco, è questo stato psicologico la cosa più inquietante: ritenere che tutto sia “normale”. Indignazione, protesta, intervento degli organi preposti, non se ne parla proprio. Ma quello che succede mette in gioco un principio basilare della nostra democrazia, non a caso scritto a chiare lettere in tutti i tribunali: ”la legge è uguale per tutti”. Ora qui c’è un signore che si rende diverso dinanzi alla legge perché ha i mezzi poterlo fare. Dunque, non si tratta solo di un problema relativo all’informazione, ma di una gravissima lesione del principio di uguaglianza, cioè di quel principio che ci fa tutti uguali e non schiavi di qualcun’altro. 

lunedì 17 giugno 2013

18 giugno 2013


WIFI LIBERO BIS ? Ecco cosa dice davvero il decreto

Guido Scorza
Il Fatto Quotidiano
Tra il dire ed il “fare” c’è di mezzo il mare dice un vecchio proverbio che sembra tagliato su misura per la storia della presunta ri-liberalizzazione del wifi che sarebbe stata disposta, appunto, con il “Decreto del fare”, approvato sabato scorso dal Governo.
“L’offerta ad internet per il pubblico sarà  libera e non richiederà più l’identificazione personale dell’utilizzatore”, si legge nel comunicato stampa di Palazzo Chigi, che lascia pensare ad un nuovo intervento del Governo sulla ormai abrogata disciplina antiterrorismo contenuta nel famosoDecreto Pisanu o, addirittura, ad una generalizzata eliminazione di ogni obbligo diidentificazione per chiunque acceda a Internet – comunque e da dovunque – via wifi.
In realtà a scorrere il testo delle prime bozze del “decreto del fare”, ci si accorge subito che non è così e che, forse, ci si è un po’ troppo affrettati a “dire”, senza pensare a ciò che si stava davvero facendo.
Cominciamo dal principio.
Il Decreto – se la bozza in circolazione è quella approvata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – stabilisce, innanzitutto, che “se l’offerta di accesso ad internet non costituisce l’attività commerciale prevalente del gestore, non trovano applicazione l’articolo 25 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 e l’articolo 7 del decreto legge 27 luglio 2005 , n. 144, convertito in legge 31 luglio 2005, n. 155.
La norma – che forse poteva e ancora potrebbe essere scritta meglio – stabilisce nella sostanza che igestori di esercizi commerciali per i quali l’offerta di accesso a internet sia un’attività non prevalente non sono tenuti a richiedere alcuna autorizzazione per tale attività né ai sensi del Codice delle comunicazioni elettroniche né ai sensi delle disposizioni superstiti del Decreto Pisanu.
Sembrerebbe, dunque, che la nuova norma sia destinata a non trovare applicazione ai gestori diinternet point per i quali non può sostenersi che la fornitura di accesso a internet non sia attività principale.
In effetti, letta così – e non come è stata raccontata – la disposizione, pur avendo assai poco a che vedere con la questione degli obblighi di identificazione, costituisce, indubbiamente,un’interpretazione autentica di una disciplina talvolta discussa e un’apprezzabile elemento di semplificazione.
Ma, nel “Decreto del fare”, a quanto si apprende, il ministro Zanonato avrebbe introdotto anche un’altra disposizione altrettanto opportuna e, questa sì, nel segno della liberalizzazione.
L’art. 2 del Decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 198, infatti, sarebbe stato abrogato.
La norma – per chi non la ricordasse – era un’autentica aberrazione giuridica partorita dall’alloraGoverno Berlusconi e firmata oltre che dal Premier dai ministri Ronchi, Romani, Frattini, Alfano e Tremonti3.
La disposizione, infatti, con la scusa di dare applicazione ad una direttiva dell’Unione Europeavolta ad assicurare la libera circolazione all’interno dei Paesi Membri dei terminali di comunicazione per l’accesso a internet [n.d.r. modem, router, ecc], aveva stabilito il principio esattamente opposto in forza del quale per la semplice installazione di uno di tali apparecchi sarebbe stato necessario avvalersi di un’impresa “abilitata” ed iscritta in un apposito albo.
La norma proposta dal ministro Zanonato ed approvata dal Consiglio dei Ministri, farebbe piazza pulita di tale aberrazione e renderebbe davvero libera l’installazione di modem e router.
Il venir meno degli obblighi di identificazione degli utenti di wifi pubblico, insomma, c’entrano poco ma il testo dei provvedimenti adottati dal governo in materia di accesso internet è, probabilmente,migliore di quanto non fosse lecito attendersi a leggere il comunicato stampa.
In tema di identificazione degli utenti, nel “decreto del fare” troverebbe posto, a quanto pare, una sola norma che, sostanzialmente, ribadisce l’ovvio: “La registrazione della traccia delle sessioni, ove non associata all’identità dell’utilizzatore, non costituisce trattamento di dati personali e non richiede adempimenti giuridici”.
Nessuna ri-liberalizzazione del wifi, dunque, ma una nuova piccola liberalizzazione in materia di accesso a internet.

sabato 15 giugno 2013

16 giugno 2013

Ciao amici, buona domenica da una piovosa Tokyo. Ieri abbiamo passato un giornata meravigliosa, verso le 10 e' uscito un sole bellissimo che ha illuminato l'intera giornata; abbiamo preso il treno ad Akabane e siamo andati a Kamakura, qui abbimo visitato dei templi bellissimi costruiti nel 1180 da Yaritomo Minamoto  quando e' arrivato  a Kawamura; , terminata la visita ai templi abbiamo  preso l'affascinante Enoshima Line che e' un vecchio trenino che  attraversa stradine strettissime, sfiorando  le pareti delle case e le siepi dei giardini fino ad affacciarsi sul mare della costa, il mare era molto bello abbiamo pranzato in un ristorante con la terrazza che dava sulla spiaggia e la brezza marina ci ha rinfrescato dalla calda giornata. Dopo mangiato abbiamo passeggiato lungo la spiaggia fino al ponte che ci ha portato all'isola di Enoshima. Un piccolo isolotto con in  altri templi bellissimi. In cima la vista era affascinante. Per Giusy , Tommy e Alessandro si trattava comunque della loro prima giornata completa a Tokyo e il fuso si e' fatto sentire , quindi nel viaggio di ritorno in treno si sono fatti un bel sonnellino.
Ciao

mercoledì 12 giugno 2013

13 giugno 2013

Ciao amici, questa mattina il cielo e' grigio, diluvia.....ma e' un giorno bellissimo, sto andando in aereoporto a prendere Giusy, Tommy e Ale.
Ciao

martedì 11 giugno 2013


La frana del cavaliere

di MASSIMO GIANNINI
 

 

Per uno schieramento politico purtroppo allenato all'autodafé e poi all'autoflagellazione è sempre pericoloso cantare vittoria. Ma stavolta, al contrario di quello che è successo tre mesi fa alle politiche, la sinistra le elezioni amministrative le ha vinte sul serio. Non basta a lenire il rammarico per la grande occasione perduta a febbraio, e neanche a sgombrare il campo dai problemi che restano, e che sono tanti. Ma la vittoria è netta, omogenea e inequivoca. Allo stesso modo in cui è netta, omogenea e inequivoca la sconfitta della destra e la scomparsa grillina. Rafforzando il risultato del primo turno di quindici giorni fa, anche ai ballottaggi la rivincita dei progressisti va al di là di ogni aspettativa. Soprattutto se si considera che avviene nel fuoco di una feroce guerra intestina. A questa prima considerazione preliminare se ne aggiungono altre due. Una, non meno importante, riguarda il rapporto tra i cittadini e il voto. Dopo queste amministrative, la dissoluzione finale della democrazia rappresentativa si è purtroppo compiuta. Il partito astensionista sfonda per la prima volta nella storia repubblicana il tetto del 50%.

L’onda della protesta, precipitata su Grillo al voto di febbraio e poi rifluita già al primo turno, non solo non si riaffaccia ma si dissolve definitivamente ai ballottaggi. L’anti-politica diventa strutturalmente a-politica. La “polis” non contesta la politica, ne fa direttamente a meno. Quasi una campana a morto non solo per i vecchi partiti, ma anche e soprattutto per i nuovi non-partiti. In attesa del test siciliano sull’esperimento Crocetta, si fatica a credere che Grillo si possa accontentare di aver vinto due ballottaggi ad Assemini e a Pomezia. Sic transit gloria mundi, se il guru Casaleggio consente il latinismo. La rivincita del centrosinistra dimostra che non tutto è perduto, in quel campo di Agramante che, a dispetto dell’inquietante spappolamento dei suoi gruppi dirigenti, conserva un confortante radicamento sul territorio, dal quale ripartire e sul quale ricostruire. Nei 92 comuni in cui si è votato tra primo e secondo turno, il centrosinistra se ne aggiudica 54, contro i 14 del centrodestra.

Per quanto Ignazio Marino abbia voluto “personalizzare” la sua campagna elettorale, il Pd espugna Roma dopo il quinquennio, nero in tutti i sensi, di Alemanno. Vince in tutti i 16 comuni capoluogo, strappandone 6 alla destra. Abbattendo a Treviso vent’anni di truculenta e xenofoba dominazione leghista, sbriciolando ad Imperia il torbido e granitico fortino di Scajola, conquistando al Nord città come Brescia e al centro-sud città come Viterbo e Iglesias. E per il resto confermando ovunque la sua supremazia, da Vicenza ad Avellino, da Pisa a Barletta. E perfino a Siena, dove si consuma lo scandalo rosso del Montepaschi, e in Sicilia, dove è in testa ovunque al primo turno e dove nel 2001 la Cdl celebrava il famoso cappotto del 61 a zero.

È un sorpasso in retromarcia, com’era già evidente dall’esito del primo turno di due settimane fa. È un “trionfo misero”, perché si produce in un Paese nel quale ormai vanno a votare poco più di quattro italiani su dieci. Ma per una forza politica che a febbraio ha buttato al vento un’occasione storica, è comunque una boccata d’ossigeno. «La nostra gente respira», dice giustamente Guglielmo Epifani. Ma se il Pd si accontenta di aver dato questo “segno di vita” per nascondere i suoi mali e rinviarne la cura, commette l’ennesimo suicidio. La frana del centrodestra è impressionante. E a spiegarla non basta solo il tradizionale deficit di classe dirigente che la coalizione forzaleghista ha sempre palesato, al centro come in periferia. Non basta solo il solito pretesto secondo cui il centrodestra «vince solo se in campo c’è Berlusconi ». L’impressione è che, su scala locale, un intero blocco sociale si stia sgretolando. Al Nord si sbriciola la base che ha cementato il patto populista tra Pdl e Lega, che ormai scompare ovunque e si dissolve nella Padania immaginata e mai realizzata. Al Centro-sud si sfarina l’impasto che ha ibridato il patto statalista tra berlusconismo e post- fascismo, che nella Capitale esplode e torna alla sua disperata e ostinata marginalità.

La sensazione è che, su scala nazionale, sia proprio il Pdl a pagare il prezzo più alto al governo delle Larghe Intese. È un paradosso assoluto, perché sembra smentire il teorema secondo il quale Berlusconi «ha in mano l’agenda del governo», e perché proprio la Grande Coalizione è stata la via di fuga imboccata dal Cavaliere fin dal giorno dopo le elezioni di febbraio, per restare seduto al tavolo del potere e per condizionare il corso dei suoi processi. Ora questo schema, che sembrava di sicura convenienza per il centrodestra, sembra saltare sotto i colpi della disaffezione elettorale dei presunti o sedicenti “moderati”.

Questa è la ragione principale che spinge a ridimensionare la portata stabilizzatrice di queste ammini-strative. Il governo Letta sembra più solido, e lo stesso presidente del Consiglio accredita questa chiave di lettura, parlando di un risultato elettorale che «rafforza il governo». Ma più che realismo, il suo sembra un esorcismo. Le Larghe Intese, anche se al momento sembrano l’unica formula esigibile in un sistema politico ingessato e l’unica forma possibile della governabilità, sono in realtà sempre più esposte alle spinte centrifughe di un centrodestra in crisi di identità e di un centrosinistra in crisi di leadership.

Lo strano “governo di necessità” è stretto in una tenaglia nella quale lo serrano due leve uguali e contrarie. La prima leva è appunto Berlusconi: all’incognita giudiziaria, tuttora la principale minaccia per l’esecutivo, si somma adesso un collasso elettorale che rafforza l’ala dura e pura del Pdl, il gruppo dei falchi e delle amazzoni convinti che la Grande Coalizione costi troppo cara al partito e non sia gradita affatto al suo elettorato. Finora lo Statista di Arcore ha resistito al canto di queste false sirene. Ma obiettivamente, dopo queste amministrative, la pressione crescerà. L’intervista di Alfano al Foglio, per la prima volta seriamente minacciosa verso Letta e francamente penosa verso “Repubblica”, è un segnale di forte tensione, che non si può sottovalutare.

La seconda leva è Matteo Renzi. Il sindaco di Firenze, pro-quota, ha vinto le amministrative, visto che i nuovi sindaci di Treviso, Brescia e Siena sono suoi fedelissimi. Ma è evidente che il tempo di Renzi non è quello di Letta. La lunga vita del premier accorcia quella del sindaco. Il patto della Torre, siglato a Firenze sabato scorso, è scritto sull’acqua, e non garantisce nulla se non una momentanea “non belligeranza” dettata solo dalla realpolitik. Anche per Renzi si avvicina il tempo delle scelte. Non a caso lui stesso evoca il drammatico precedente di Prodi e Veltroni del 2008, che consumarono lo strappo e chiusero l’avventura dell’Unione. L’altolà a Epifani sulla data del congresso fa il paio con quello di Alfano sulla “convinzione” dell’esecutivo. Per il governo Letta sono bombe a orologeria: aspettano solo una mano che faccia scattare il timer. La mano di Silvio, o quella di Matteo. Con tanti saluti alla “pacificazione”.

domenica 9 giugno 2013

10 giugno 2013

Ciao amici, un saluto da Tokyo. Sabato sera siamo rientrati da Shanghai dove abbiamo partecipato ai Campionati asiatici. Nessuna medaglia nella prova individuale con la Nishioka che ha letteralmente buttato via il match nelle 16 contro una ragazza di Honk Kong; in vantaggio per 12a4 non e' stata in grado di portare a termine il match che aveva tranquillamente gestito fino a quel punto. Purtroppo Shio non riesce ancora a dare continuita' alle cose corrette. La Kano e la Yanaoka  hanno pero il primo match nelle 32 pagando un po' il prezzo dell'inesperienza. Sono molto soddisfatto, invece, della prova dell'altra cadetta la Miyawaki, che ha superato senza problemi il girone  e il match delle 32, per poi perdere sul filo di lana nelle 16 con una cinese.
La squadra , dopo le olimpiadi di Londra, e' stata quasi tutta rinnovata e ho schierato due cadette e una primo anno giovani che parteciperanno anche ai mondiali ; dando cosi il via ad un progetto  di rinnovamento che la Federazione Giapponese dovra' portare avanti. Nella gara a squadre, abbiamo conquistato  una bella medaglia di  bronzo, non tanto per la medaglia in se, ma per la prova offerta in semifinale con la Cina. Abbiamo perso 45a41, impegnando con la nostra giovane squadra fino alla fine la piu' esperta Cina, le ragazze mi sono piaciute molto, le ho visto fare buone cose, le ho viste "sentire" i giusti tempi e le giuste misure. Nella finalina per il bronzo non abbiamo concesso nulla ad Hon Kong continuando a tirare bene.
Sono certo che queste ragazze nel tempo sapranno raccogliere buoni risultati.
Da oggi abbiamo ripreso il normale allenamento in previsione della prossima tappa, le Universiadi.
Ciao