giovedì 24 novembre 2016

24 Novembre 2016

Referendum, sei buone ragioni per cui voterò No
Di Luisella Costamagna
Da Il Fatto Quitidiano

Contro l’ipocrisia del “sono giornalista, non mi schiero” (per poi farlo velatamente), penso sia non solo un diritto ma un dovere – da cittadina prima che da giornalista – pronunciarmi su un referendum che riguarda la nostra Costituzione: convintamente, io voto No a questa riforma.
Voto No perché è falso che “si vuole la ‘paralisi’ contro il cambiamento della Carta ferma da 70 anni”. La Costituzione dal ’48 a oggi è stata modificata 35 volte e chi dice No non è che non voglia cambiarla, solo non vuole cambiarla in peggio, come fa questa riforma che ne stravolge più di un terzo (47 articoli su 139). Il cambiamento non è un valore positivo in sé: se è in peggio, meglio lasciare tutto com’è o – almeno – scegliersi costituenti migliori.
Voto No perché è falso che la riforma “semplificherà e taglierà i tempi” col superamento del Bicameralismo paritario.
È scritta male, in modo tutt’altro che semplice: trasforma le 9 parole dell’art. 70 in uno sproloquio in cui non si capiscono le funzioni del nuovo Senato; prevede fino a 10 modi diversi per approvare le leggi, complicazioni delle competenze di Stato e Regioni e conseguenti inevitabili ricorsi alla Consulta. Tempi più veloci?
Quando si è voluta la Legge Fornero sono bastati 20 giorni, per il Lodo Alfano meno di un mese.
Voto No perché è falso che “risparmieremo 500 milioni di euro l’anno”. La Ragioneria Generale ha calcolato un taglio massimo di 50 milioni, che si sarebbero potuti ottenere con una sforbiciatina del 10% delle indennità dei parlamentari, senza creare un “mostro istituzionale”.
Per risparmiare si poteva accogliere la proposta M5S di dimezzamento degli stipendi, che avrebbe garantito quasi il doppio (87 milioni), o abolire direttamente il Senato.
Voto No perché è falso che “i cittadini saranno più rappresentati e conteranno di più”. Vero il contrario: leggi di iniziativa popolare e referendum saranno più difficili (per un quorum inferiore ci vorranno più firme); i senatori non verranno più scelti da noi, ma da consigli regionali e Capo dello Stato (e una volta a Palazzo Madama i rappresentanti delle Regioni, spesso al centro di scandali, godranno dell’immunità); con Italicum e capilista bloccati alla Camera avremo un bel Parlamento di nominati, in cui il governo farà il bello e cattivo tempo (il ballottaggio e l’abnorme premio di maggioranza garantiranno a chi ha preso solo il 25% al primo turno il 54% dei deputati).
Voto No perché questo è anche un referendum su Renzi: se perde deve lasciare, come diceva lui stesso prima di rimangiarsi tutto temendo la malaparata. È stato “messo lì” (Marchionne dixit) col mandato di fare le riforme, senza essere eletto da nessuno; le ha fatte con la Boschi e Verdini a colpi di maggioranza; imperversa in tv e manda lettere a sua firma, a conferma che è lui il protagonista della campagna elettorale; ha piegato la politica economica del paese, con i bonus in manovra, per vincere.
Il voto è anche su di lui e il governo: se perde deve fare come Cameron dopo la Brexit.
Voto No, infine, perché col Sì vedo Jp Morgan, Confindustria, Marchionne, agenzie di rating, troika Ue, ambasciata Usa: lobby e poteri fortiche oggi evocano l’Apocalisse, quando sono corresponsabili delle condizioni in cui versiamo. Il vero cambiamento è dire No a tutto questo. Finalmente.

giovedì 17 novembre 2016

17 Novembre 2016

Voto e responsabilità: siamo chi eleggiamo (inclusi Trump e Berlusconi)
Di Francescomaria Tedesco da:
Il Fatto Quotidiano

Molti in Italia paragonano l’elezione di Trumpall’ascesa (e alla permanenza) di Silvio Berlusconi negli ultimi venti anni di vita politica italiana. E presentano entrambe le cose come un vulnus della democrazia, o addirittura “l’apocalisse” (Michele Santoro). Naturalmente il discorso è funzionale al Sì al referendum costituzionale. Eppure vorrei far notare che, almeno nel caso di Berlusconi (per Trump non possiamo ancora dire niente, salvo che se vorrà dare seguito alle sue gravissime uscite propagandistiche troverà – si spera – enormi ostacoli) quel vulnus, se c’è stato, si è concretizzato in ben poco. Abbiamo avuto un generale scadimento del linguaggio politico, dei danni rilevanti alla cultura politica italiana, e all’immagine.
Berlusconi ha traccheggiato molto, ha badato tanto ai propri interessi, e soprattutto ha avuto un’opposizione che, per quanto blanda, ha svolto una sua funzione, anche grazie al ruolo delle piazze, dei sindacati e dell’opinione pubblica. L’era delle grandi intese ha invece permesso la legge Fornero, l’archiviazione dell’art. 18, il pessimo e fallimentare Jobs Act, una brutta riforma costituzionale (ancora da votare con il referendum).
Ora, tutti ripetono il mantra secondo cui l’Italia è una Repubblica parlamentare e non c’è alcuna norma che preveda che il premier debba essere “eletto“. Secondo l’art. 92 è il Presidente della Repubblica che conferisce l’incarico al premier, non le urne. E formalmente è così. Ma si sa che la dottrina ha giustamente sollevato l’eccezione secondo cui la modifica delle convenzioni costituzionali (che sono vere e proprie fonti) ha spostato parzialmente i termini della questione.
Zagrebelsky aveva parlato di “notevole riduzione” del ruolo autonomo del Presidente della Repubblica, Martines aveva scritto che era stato introdotto de facto un vincolo per il Presidente della Repubblica “nel senso che la nomina del Presidente del Consiglio dovrebbe cadere naturalmente sul leader dello schieramento politico-elettorale risultato vincitore delle elezioni”. Tutto ciò avrebbe reso più stretto, per il Presidente della Repubblica, lo spazio di manovra per il conferimento dell’incarico per la formazione del governo. E infatti tutte le volte che l’incarico è stato conferito a soggetti non usciti dalle urne, ciò è stato vissuto come una forzatura (Dini, D’Alema, Amato).
Si vede che nel frattempo siamo passati dalla Seconda alla Terza Repubblica, perché il Presidente (Napolitano) ha invece, e per 3 volte, in nome dell’emergenza, ignorato questo dato, normalizzando ciò che con la Seconda Repubblica era sembrato eccezionale (i casi di Dini e seguenti) e, non indicendo o bypassando le elezioni, ha conferito incarichi a Monti, Letta e Renzi, peraltro in paradossale contraddizione con lo spirito della riforma costituzionale in discussione, ovvero l’esigenza di sapere “la sera delle elezioni” chi è il premier (ma non era il Presidente della Repubblica a dare l”incarico? In fondo gli articoli 92, 93 e 94 della Costituzione “riformata” sono rimasti invariati nella sostanza, prevedendo ancora che “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri”, art. 92, e modificando solo laddove per la fiducia si faceva riferimento alle Camere, parlandosi ora solo Camera dei deputati, art. 94).
Ecco, è in questo clima, quello della “nomina”, che si sono consumati i recenti attacchi alle garanzie del lavoro o alla centralità del Parlamento. Non si tratta di riabilitare Berlusconi, che è stato un pessimo politico e ha prodotto danni notevoli, e se ha nuociuto meno di quanto forse avrebbe voluto non è per sua virtù. Si tratta di discutere il modello di democrazia che abbiamo di fronte, e la rottura di quel circolo democratico che vive della scelta dei cittadini perché ciò li rende coautori (e corresponsabili) delle scelte politiche: chi ha votato Berlusconi è responsabile.
Le elezioni non sono certo il momento in cui si consuma tutta la democrazia, ma esse sono un modo per indicare qualcuno a cui tenere poi gli occhi addosso. Perché in fondo, se si eleggono dei rappresentanti che fanno sfracelli, la responsabilità è di questi ma anche di chi li ha votati, e occorre che entrambi se la assumano. Si chiama accountability, sostanzia il rapporto tra governanti e governati, e deve contemperare le esigenze di efficienza del governo con quelle di rappresentanza e partecipazione dei cittadini.

lunedì 14 novembre 2016

14 Novembre 2016

Le 10 bugie sulla ‘riforma’ rifilate da Renzi agli italiani all’estero


Cari italiani che vivete all’estero, in questi giorni avete ricevuto una lettera firmata e spedita in 4 milioni di copie a tutti voi dal presidente del Consiglio Matteo Renzi in uno dei suoi più riusciti travestimenti: quello di segretario del Pd e leader del comitato BastaunSì. In pratica, questo signore nella sua seconda veste ha chiesto a se stesso nella sua prima veste l’elenco dei vostri nomi e dei vostri indirizzi postali e se lo è concessotramite il suo ministro dell’Interno Angelino Alfano, che contemporaneamente lo negava a Giuseppe Gargani, leader del Comitato Popolare per il No. Così soltanto lui ha potuto raggiungervi uno per uno a domicilio, fingendo di informarvi sulle modalità di voto e sul contenuto della sua cosiddetta “riforma” costituzionale, impedendo a chi la contrasta di fare altrettanto. Il che già dovrebbe indurvi adiffidare di lui e a cestinarla. Se invece foste tentati di leggerla, sappiate che tutto ciò che egli vi scrive, tranne forse la sua firma in calce, è falso. Un po’ come l’opuscolo che un altro venditore di aspirapolvere farlocchi, Silvio Berlusconi, non a caso coautore di questa “riforma” a quattro mani con Renzi, inviò a milioni di elettori in Italia e all’estero nel 2001, dal titolo Una storia italiana.
1. Renzi vi racconta che la sua “riforma” metterà fine alla “politica debole che si perde in un mare di polemiche” e la farà finita con un “Paese instabile, che cambia premier più spesso di un allenatore della Nazionale”: “63 governi in 70 anni”, “il record mondiale di instabilità”. Ora, a parte il fatto che la prima Repubblicaebbe il record mondiale della stabilità, visto che fu governata per quasi 50 anni dalla stessa maggioranza imperniata sulla Dc e i suoi alleati, sia pure con diversi premier, quei 63 governi sarebbero stati 62 se non fosse arrivato Renzi. In questa legislatura l’Italia ha cambiato governo una volta sola, nel 2014, e proprio per colpa di Renzi, massimo fattore di instabilità e polemiche, che impose al Pd di rovesciare il governo Letta per andare al potere con la stessa maggioranza: altrimenti l’Italia avrebbe avuto lo stesso governo per l’intera legislatura. Se vincesse il Sì, tutto questo potrebbe ripetersi, visto che nessuna norma della “riforma” lo impedirebbe.
2. Renzi vi racconta che, da quando lui è al governo, l’Italia è “rispettata all’estero”. È la stessa frottola che già raccontava Berlusconi quando l’Italia toccò il minimo storico di prestigio internazionale. Lo stesso sta purtroppo accadendo con Renzi, continuamente umiliato in Europa per le bugie sui conti pubblici, per gli impegni non rispettati e per la sua totale incapacità di essere credibile agli occhi dei partner.
3. Renzi vi racconta che “superiamo finalmente il bicameralismo paritario, un sistema legislativo che esiste solo in Italia”. Voi, soprattutto se abitate negli Stati Uniti o in Francia, sapete benissimo che forme di bicameralismo paritario esistono in molte grandi democrazie senza pregiudicare l’efficienza delle istituzioni. Quanto al presunto “estenuante ping-pong tra Camera e Senato” cui sarebbe costretta “ogni legge” che impiegherebbe “anni” per essere approvata, sappiate che in Italia, nell’ultima legislatura, è stata approvata una legge ogni 5 giorni: 202 leggi sono passate al primo colpo, mentre la “navetta” ne ha riguardate pochissime (43 approvate con tre passaggi tra le due Camere, 5 con quattro, una con cinque e una con sei).
4. Renzi vi racconta che la causa dei 63 governi in 70 anni è stata il “doppio voto di fiducia al governo da parte di Camera e Senato” (la “riforma” riserva la fiducia alla sola Camera). Bugia: solo 2 governi su 63, quelli di Romano Prodi, caddero per la sfiducia del Senato. Tutti gli altri, compreso quello di Letta a opera di Renzi, caddero fuori dal Senato e quasi sempre fuori dal Parlamento per manovre di Palazzo.
5. Renzi vi racconta che “questa riforma, definendo le competenze tra Stato e Regioni, mette fine all’assurda guerra tra enti pubblici che ogni anno si consuma in centinaia di ricorsi alla Corte costituzionale”. Falso: le Regioni a statuto speciale, le più costose e sprecone, non vengono toccate, anzi conteranno ancor di più, mentre quelle ordinarie verranno espropriate della loro sacrosante competenze sul controllo del territorio e dunque delle grandi opere (anche quelle iper-costose e inutili o dannose e inquinanti, tipo Tav Torino-Lione, Ponte sullo Stretto, inceneritori, oleodotti, gasdotti, trivelle petrolifere), che tornano nelle mani dell’uomo solo al comando a Roma in nome di un imprecisato “interesse nazionale”. Concetto talmente fumoso da autorizzare i governi a immischiarsi in qualsiasi materia che la “riforma” lascia alle Regioni, innescando non meno, ma più contenziosi fra governo centrale ed enti periferici. Lo stesso caos produrrà la nuova categoria delle“disposizioni generali e comuni” e “di principio”, che porteranno altra conflittualitàsulle competenze fra Stato e Regioni.
6. Renzi vi racconta che “questa riforma riduce finalmente poltrone e costi della politica”. Ma in Italia, secondo uno studio Uil, i cittadini che vivono di sola politica sono 1 milione e 100 mila. La riforma riduce i senatori da 315 a 100: un taglio impercettibile con un risparmio irrisorio per lo Stato: circa 40 o 50 milioni all’anno (dati della Ragioneria dello Stato e bilancio preventivo del Senato), a fronte di oltre 800 miliardi di spesa pubblica. E a che prezzo? Quello di rinunciare all’elettività dei senatori, che non saranno più scelti dai noi elettori, ma dalla peggior Casta politica: quella dei Consigli regionali. Che manderanno in Senato 95 fra sindaci e consiglieri (più 5 nominati dal Quirinale), per giunta muniti dell’immunità parlamentare dagli arresti, dalle intercettazioni e dalle perquisizioni: un privilegio che la Costituzione riserva ai parlamentari eletti, cioè non a loro.
7. Renzi vi racconta che “la riforma elimina enti inutili come il Cnel (1 miliardo di spesa)”. Il plurale “enti inutili” è truffaldino: l’unico ente inutile che sparisce – usato come specchietto per le allodole per oscurare le magagne degli altri 46 articoli stravolti della Costituzione – è appunto il Cnel. Che però non costa 1 miliardo, ma appena 8,7 milionil’anno (vedi bilancio del 2015), di cui 4-5 per il personale residuo che verrà trasferito alla Corte dei Conti e dunque lo Stato continuerà a pagarlo. Ben altri risparmi si sarebbero ottenuti abolendo il Senato (2,8 miliardi costo a legislatura) o dimezzando – come Renzi aveva promesso – il numero e gli stipendi di tutti i parlamentari, lasciandoli eleggere direttamente dal popolo.
8. Renzi vi racconta che la “riforma garantisce più poteri alle opposizioni… senza toccare i poteri del Presidente del Consiglio, né alcuno dei ‘pesi e contrappesi’ che garantiscono l’equilibrio tra i poteri dello Stato”. Menzogna: il governo conterà molto di più, e non solo per la legge elettorale Italicum che regala il 54 per cento della Camera, e dunque il governo, al capo del partito più votato (anche nel caso in cui rappresenti solo il 20 per cento dei votanti, pari al 12-13 per cento degli elettori). Ma anche perché il governo avrà una corsia preferenziale in Parlamento, per i suoi disegni di legge, che andranno approvati entro 70 giorni (art. 72 della “riforma”): la stessa priorità non è prevista per le leggi di iniziativa parlamentare, così il governo monopolizzerà vieppiù l’attività legislativa del Parlamento, dettandogli la propria agenda. Nulla è previsto per le opposizioni, se non la promessa di una legge che dovrebbe disciplinarne i diritti: una legge mai scritta, affidata al buon cuore della futura maggioranza.
9. Renzi vi racconta che “per decenni tutti hanno promesso questa riforma… ma si sono dimenticati di realizzarla”. Falso: questa riforma, che modifica 47 articoli su 139 della Costituzione, così com’è non è stata mai promessa da nessuno. E men che meno dal Pd, che l’ha imposta a un Parlamento riottoso con ogni sorta di forzature e senza alcuna legittimità (governa con i suoi mini-alleati in forza di una maggioranza illegittima, drogata dal “premio” della legge elettorale Porcellum già cancellata come incostituzionale dalla Consulta). Il Pd nel 2013 ottenne la maggioranza – anche da una parte di voi italiani all’estero – in base a un programma elettorale che non prometteva di riscrivere un terzo della Costituzione, ma solo di ritoccarla in pochi punti: per allargare la “partecipazione democratica” e per dare “applicazione corretta e integrale di quella Costituzione che rimane tra le più belle e avanzate del mondo”. Programma che la “riforma” calpesta e ribalta, tradendo la fiducia di noi elettori.
10. Renzi vi invita a votare Sì per “andare avanti”, mentre il No significherebbe “tornare indietro”. Balle. La Costituzione americana del 1789 prevedeva senatori nominati dall’alto, poi nel 1913 fu emendata per farli eleggere direttamente come i deputati. Andare avanti significa allargare, non restringere, la partecipazione popolare, soprattutto in un Paese come l’Italia dotato di una Costituzione che all’art. 1 recita: “La sovranità appartiene al popolo”. È la “riforma” renziana che ci fa tornare indietro, ai tempi dell’Italia monarchica e dello Statuto albertino, quando i senatori erano nominati e non eletti.
Come vedete, cari italiani residenti all’estero,Renzi vi ha presi in giro, approfittando biecamente della vostra lontananza dall’Italia. Ma per fortuna, anche grazie alla Rete, è facile sbugiardarlo. Se grattate gli slogan e le foto patinate dei suoi incontri con i capi di Stato, e sul retro emergerà la vera domanda che il piccolo piazzista di aspirapolvere vi sta rivolgendo: rinunciate al diritto di eleggere i senatori per farli scegliere a noi della Casta?Una domanda tanto più inquietante e provocatoria per voi, italiani di oltre confine, che oggi siete rappresentati da 6 senatori eletti nei collegi esteri, mentre la “riforma” abolirà quella quota di rappresentanza, tagliandovi fuori dal primo ramo del Parlamento, che se vince il Sì sarà riservato ai delegati-nominati delle 20 regioni, di 21 comuni e del Colle.
Se vi occorrono altri chiarimenti, scrivetemi a segreteria@ilfattoquotidiano.it. Difendiamo tutti la nostra Costituzione e i nostri diritti: da quello di votare a quello di essere correttamente informati.

Da il Fatto Quotidiano
Marco Travaglio

venerdì 11 novembre 2016

11 novembre 2016

Ciao amici, un saluto da Tauber. Lo scorso weekend si e' svolta a St. Maur la seconda prova di coppa del mondo della stagione. I risultati non sono stati brillanti, nella prova individuale solo la Sauer e la Ebert sono riuscite a qualificarsi per il secondo giorno di gara, per poi uscire sconfitte nel primo match del tabellone delle 64. Nella gara a squadre abbiamo chiuso con un sufficente 6 posto. Battuta la Svezia per entrare nelle 8, abbiamo poi perso dagli USA, piu' continui nella performance rispetto alla nostra squadra. Per i piazzamenti dal 5 all'8 posto abbiamo fatto due buoni match, battendo l'Ungheria e perdendo dalla Francia, migliorando la nostra performance tecnica e il livello d'attenzione.
Saluti

mercoledì 2 novembre 2016

2 novembre 2016

Addio Spenky, i tuoi dolcissimi occhi mi mancheranno.

2 novembre 2016

Ciao amici, un saluto da Tauber. Lo scorso weekend a Bochum Leonie Ebert ha vinto la sua prima gara di coppa del mondo under 20, grazie ad una prestazione piu' che buona con la quale e' riuscita ad avere la meglio su avversarie di ottimo spessore tecnico. Ottimo anche l'8 posto di Juju Braun, la ragazza di Bonn finalmente inizia a dimostrare in pedana quelle qualita' che da tempo si intravedevano. Il lavoro con il Maestro Borkowsky sta dando i suoi frutti.
Nella gara a squadre abbiamo conquistato un buon 4 posto. Il quartetto tedesco composto da Werner, Hohenadel, Braun e Ebert ha sconfitto nelle 8 la squadra americana per poi uscire sconfitte in semifinale dall'Italia( poi vincitrice della gara) e nella finale per il 3 posto dalla Polonia. In entrambe le sconfitte ho visto fare ottime cose dalle ragazze tedesche, siamo sulla buona strada dobbiamo solo continuare a lavorare.
Ciao