giovedì 12 novembre 2009

12 novembre 2009

Ciao amici, voglio riportarvi l'articolo scritto oggi sulla Repubblica dal giornalista Maurizio Crosetti sul caso Enke

Non è stato un raptus, ma un lungo corpo a corpo con il dolore e il buio.Robert Enke ha scritto una lettera prima di gettarsi sotto il treno, e ha chiesto scusa:<>. Poi ha fermato l'auto vicina ai binari, ha tolto il portafoglio dalla tasca e l'ha appoggiato sul sedile, è sceso. E ha aspettato. Il portiere della nazionale tedesca era depresso da almeno sei anni, ed era stato a lungo in cura. Stava già male prima che la sua bimba Lara morisse per una malformazione cardiaca, due anni fa. Lo hanno detto la moglie Teresa, che ha ricevuto una lettera personale della cancelliera Angela Merkel, e il suo psicologo, il dottor Valentin Markser. , ha ammesso il medico.
Forse perchè il portiere ultimamente rifiutava qualunque farmaco: si era ammalato anche di paura e di vergogna, non solo del male di vivere. Il racconto di Tersa è un atto d'amore e impotenza, come spesso accade a chi sfiora le persone che soffrono del male oscuro. Si vorrebbe salvarle e salvarsi, non sembre si può.< Dopo la perdita di Lara, io e Robert avevamo pensato che questo immenso dolore fosse superabile. Abbiamo tentato di farcela in ogni modo. Parlavamo del futuro, facevamo progetti. I suoi periodi di sofferenza si alternavano a quelli di ripresa, e io provavo a ripetergli che nella vita ci sono tante cose belle. Robert aveva paura di perdere anche Leila. Credevo che l'amore potesse aiutarlo, ma a volte neanche l'amore basta<.
Una lunga veglia funebre ha accompagnato ieri il dolore dei tifosi dell'Hannover e di tutti i tedeschi. Tremila persone fuori dalla chiesa e settecento dentro, molte con addosso la maglia di Enke, quasi tutti con una candela in mano. La nazionale ha annullato l'amichevole col Cile.
Molti sapevano che il portiere era reduce da una serie di problemi fisici, però si pensava che l'ultimo guaio- un virus intestinale, tre mesi di stop- fosse la causa principale, ormai debellata. Invece la depressione lo tormentava da quando nel 2003, Enke aveva perduto il posto da titolare nel Barcellona. A volte basta poco per spezzare il filo di fragilità che lega la vita di molti atleti, e le tiene insieme finchè l'equilibrio non crolla.
Poi, certo, una tragedia come la perdita della bambina deve aver innescato un'esplosione a catena dell'animo di Enke, moltiplicando la sua sofferenza. , dice la moglie.
La solitutidine aveva però scavato un solco invisibile, ed è lì che agisce l'istinto suicida: quando il peggio sembra passato e invece è dentro che lavora, nel profondo, giorno dopo giorno.
Il suicidio di Robert Enke ricorda da vicino i gesti di molti altri atleti, alcuni dei quali famosi, che non hanno retto al dolore di vivere, dal ciclista Luis Ocana ad Agostino Di Bartolomei, oppure i calciatori Lester Morgan e Tim Carter, i pugili Alexis Arguello e Arturo Gatti, il canoista Marco Fagioli. Anche se sono forse i corridori in bicicletta i più esposti: si ucciserolo spagnolo Josè Maria Jimenez e l'italiano Luca Gelfi, resta nell'ombra la dinamica della morte di Marco Pantani e Frank Vandenbroucke la scorsa settimana ben due ciclisti si sono tolti la vita, il belga Dimitri De fauw e l'iberico Augustin Sagasti.
Quasi tutti all'apparenza campioni privilegiati e felici. Qualcuno, come Pessotto salvo per miracolo. Ma lo sport non è un'isola.
ammette Gianluca Zambrotta. E il suo ex compagno Buffon è stato tra i pochi a riconoscere i morsi tremendi della depressione, quella voglia di non lottare più. Lui ne è uscito, anche perchè non si è tenuto tutto dentro. Altrai fanno finta di niente finchè, appunto, il niente arriva e li reclama.

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