domenica 4 agosto 2013

4 luglio 2013


Il mondo ci guarda (e non capisce): quello che pensano e dicono di noi

Beppe Severgnini
Corriere della Sera


Giovedì sera, pochi minuti dopo la pronuncia della Corte di cassazione, sulle frequenze di Bbc World Service è andata in onda una curiosa conversazione. Lucio Malan, senatore del Pdl, spiegava con convinzione che la condanna era ingiusta e Silvio Berlusconi era innocente. Il conduttore, serafico, ha ribattuto: «Mi scusi, ma come può dir questo? Tre gradi di giudizio hanno stabilito il contrario».
Nella sua semplicità, lo scambio illustra il nostro vero, grande rischio nazionale: all'estero non capiscono. Non capisce l'opinione pubblica internazionale. Non capiscono i giornali, le televisioni, le radio e i siti web. Non capiscono i conservatori, i liberali e i socialisti. Nessuno capisce come, in una democrazia, una parte del potere politico possa rivoltarsi contro il potere giudiziario, pur di difendere il proprio capo.
È un coro unanimeThe Independent (inglese): «Berlusconi come Al Capone». Süddeutsche Zeitung (tedesco): «Machiavelli di celluloide». Libération(francese): «Berlusconi, naufragio all'italiana». Washington Post (americano) si chiede quale villa Berlusconi sceglierà per la reclusione. The Guardian, da Londra: «Silvio Berlusconi ai domiciliari, forse nella villa del bunga-bunga». El País, da Madrid: «È così la vecchia volpe (el viejo zorro), grande conoscitore dell'idiosincrasia italiana, ha ottenuto quello che sarebbe difficilmente immaginabile in ogni altro Paese del mondo: convertire i panni sporchi giudiziari in combustibile per l'ultima tappa della carriera politica. La cosa più allucinante, e anche la più triste per l'Italia, è che il trucco funziona».
Vignette, grafici, cronologie giudiziarie, commenti. Nel duello, riassunto da Luigi Ferrarella, «tra la volontà della magistratura di applicare a Berlusconi le regole valide per tutti e la sua pretesa di esserne esonerato a causa del consenso», i media del mondo non sembrano aver dubbi: stavolta, e non per la prima volta, stanno con la magistratura.
Il potere giudiziario - da Washington a Londra, da Berlino a Tokyo - è considerato l'arbitro della vita civile. Un arbitro discusso e discutibile: ma comunque l'arbitro. E se tre arbitri, uno dopo l'altro, decidono che una persona è colpevole, significa colpevolezza: il giudizio umano, oltre, non può andare. Le nostre diatribe italiane sull'accanimento giudiziario risultano incomprensibili. «Berlusconi è stato indagato e processato come nessun altro!», protestano i sostenitori in Italia. La reazione, fuori d'Italia, si può riassumere così: «Bene. Ora processate anche gli altri».
Opinioni brutali? Considerazioni sempliciste? Ma l'opinione pubblica internazionale è, spesso, brutale e semplicista. Pensate a quanto sappiamo noi sul funzionamento della democrazia americana o tedesca (l'equilibrio tra i poteri, i controlli incrociati). I cittadini tedeschi e americani sanno altrettanto (poco) della democrazia italiana. Sanno però che il legislatore legifera, il governo governa e il potere giudiziario giudica. Ogni interferenza appare sospetta. Le norme spinte in Parlamento per alleggerire la propria posizione processuale, durante gli anni di governo: questo sì, di Silvio Berlusconi, viene spesso ricordato.
All'agenzia Nuova Cinao al quotidiano giapponese Asahi Shimbun non interessa se la magistratura italiana ha un'agenda politica. Quest'ultimo si limita a scrivere che «un ex premier è stato condannato per frode fiscale» (è l'unico che non mette il nome di Berlusconi nel titolo). Solo il quotidiano russo Kommersant si schiera dalla parte del condannato. Titola: «Berlusconi non è stato scomunicato dalla politica» e definisce la sentenza «scandalosa» perché mira a terminarne la carriera politica.
La vulgata berlusconiana, raffinata negli anni dai media di proprietà, è che esista una cricca di italiani - giornalisti, accademici, qualche politico - in grado di influenzare le opinioni nei luoghi che contano, Londra e New York in particolare. Considerato l'accesso alle informazioni nel XXI secolo, questa spiegazione appare surreale, astuta o infantile (fate voi). È più logico e più semplice accettare l'evidenza. Sono ormai molti, all'estero, a condividere l'opinione sintetizzata in un titolo dell' Economist nel 2001: Berlusconi è inadatto a guidare l'Italia.
Certo, i media più influenti - quelli che i mercati consultano e gli investitori ascoltano - non hanno mai mostrato indulgenza per il personaggio. Dopo otto di governo inefficace, quattro anni di scandali sessuali, una dozzina di processi, sette prescrizioni e una condanna, sembrano aver perso la pazienza. «Cala il sipario sul buffone di Roma», è il titolo spietato delFinancial Times . Il New York Times, secondo cui la vicenda «mette il fragile governo italiano sulla strada della crisi», scrive: «È opinione diffusa che Mr. Berlusconi voglia conservare un ruolo pubblico nella speranza di esercitare l'influenza politica di cui ha bisogno per proteggere i propri interessi economici».
Certo dev'essere sgradevole, per un elettore di centrodestra, leggere opinioni tanto sfavorevoli; ed è doloroso, per ogni italiano, sapere che l'opinione negativa su un leader ricade anche, inevitabilmente, sul Paese che rappresenta. Ma bisogna prenderne atto, e mantenere la calma.
Se un uomo mite come Sandro Bondi evoca «il rischio di guerra civile» non dobbiamo stupirci se i media internazionali ci trattano talvolta con fastidio. Una dichiarazione irresponsabile, dal satellite e sulla banda larga, viaggia più veloce del magnifico lavoro di tanti connazionali, in ogni campo. Pdl significa Popolo della Libertà, non Perdere di Lucidità. Qualcuno, nel partito, trovi il coraggio di spiegare al padre-padrone che non può trascinare con sé tutta l'Italia. I nostri amici nel mondo non capirebbero; e i nostri avversari non aspettano altro.

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