lunedì 20 settembre 2010

20 settembre 2010

I consulenti del lavoro: sciopero Aic è illegittimo



(ASCA) - Roma, 17 set - La Fondazione studi consulenti del lavoro, con il suo presidente Rosario De Luca, interviene sullo sciopero proclamato dai calciatori per il 25 e 26 settembre, alzando la paletta rossa alle richieste dell'Aic.

''Sarebbe uno sciopero come tanti altri, tutelato dalla Costituzione, utile a rivendicare dei diritti sacrosanti.

Se non fosse - afferma De Luca - che lo sciopero e' stato indetto dalla categoria dei lavoratori subordinati piu' ricchi in Italia. E allora si pone la questione, non di poco conto, se la palese ricchezza puo' ridurre l'esercizio di diritti anche costituzionalmente garantiti.

Se la questione venisse affrontata sul piano tecnico, la risposta sarebbe scontata: il diritto allo sciopero e' garantito dalla Costituzione indipendentemente dal salario percepito dal lavoratore. Ma se la questione, invece, venisse affronta sul piano morale, allora si arriverebbe a conclusioni ovviamente diverse. Il mondo del lavoro 'ordinario' in questi giorni - prosegue De Luca - si sta chiedendo quanto le richieste formulate dai calciatori siano aderenti al sistema giuridico lavoristico vigente in Italia.

La risposta e' semplice: poco o quasi niente. E' infatti in atto un grande cambiamento per oltre 20 milioni di lavoratori dipendenti: un cambiamento nella flessibilita', nelle relazioni industriali, nella certezza della prestazione, insomma verso un ammodernamento del sistema lavoro per renderlo piu' competitivo rispetto agli altri Paesi. Quindi e' giusto che anche la lega dei calciatori spinga verso questa direzione alla pari di tutti gli altri lavoratori subordinati. I calciatori non possono gridare allo scandalo se un contratto collettivo dovesse prevedere dei compensi legati ai risultati poiche' questa - per il datore di lavoro - e' una semplice regola, ma efficace, per avere maggiore produttivita'. Non e' pensabile infatti che i minimi tabellari, che saranno assicurati ai calciatori in una stagione comunque disastrosa, possano mettere in discussione il principio dell'art. 36 della costituzione a cui tutti siamo sottoposti, secondo il quale 'Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa'.

Allo stesso modo, visto che i calciatori fanno della propria immagine uno strumento di guadagno economico spesso superiore all'ingaggio sportivo, non si puo' gridare allo scandalo se un contratto collettivo dovesse introdurre pesanti sanzioni - anche economiche - nell'ipotesi di palesi comportamenti pubblici scorretti, assunti dai calciatori: e in questi anni se ne sono visti diversi.

E non si puo' gridare allo scandalo neanche per una modifica che preveda, a scadenza di contratto, l'impossibilita' per il calciatore di rifiutarsi al trasferimento presso un altro club a parita' di ingaggio e condizioni professionali.

D'altronde, questo principio e' gia' applicato ai 'veri' lavoratori subordinati attraverso l'art. 2112 del c.c.: quindi, non si comprende perche' la categoria piu' ricca di subordinati debba essere sottratta a questa possibilita'.

La strada dello sciopero dei calciatori risulta pertanto - conclude De Luca - legata piu' a rivendicazioni di altro genere che non a vere e proprie lesioni di loro diritti''.

2 commenti:

Unknown ha detto...

Il problema vero, in realtà, è culturale.
Malgrado le cifre spaventose che percepiscono i professionisti, e l'ipotesi di uno 'sciopero' che in qualche modo irrita e infastidisce chi lavora sul serio, l'aspetto più deprimente consiste nell'evidenza che gli stadi continuano ad essere pieni; che le logorroiche, inutili, pesantissime trasmissioni televisive sul calcio imperversano come sempre; ma, soprattutto, che i tifosi continuano a sbattersi per squadre che non sono nemmeno più composte da giocatori italiani.

In pochi si rendono conto che sono corrivi alle attività di una colossale organizzazione a fini di lucro, che con lo sport e i suoi valori più nobili ha ormai molto poco a che fare.

Andrea ha detto...

Mi piace molto quando si parla di moralità nella scelta dello sciopero: secondo me è proprio questo quello che è mancato e credo sia un aspetto importante sul quale non sorvolare a prescindere dalla Costituzione e dalle leggi che permettano o meno determinati atteggiamenti.

Il calcio non è più uno sport, ma uno spettacolo: considerarlo sport e cercare di giudicarlo sotto questa categoria è segno di aver capito poco la realtà.
A tal proposito diventa inutile parlare di squadre più o meno italiane: sono tanti gli sport, anche dilettantistici, che riempiono le loro nazionali di oriundi e naturalizzati...Come si può rimanere sbigottiti da un club che nasce con finalità di lucro e si ritrova pieno di stranieri?

Chiudo con un inciso sul primo commento: gli stadi sono sempre più vuoti...E' da 5 anni che i numeri scendono e solo dalla stagione scorsa a questa la serie A ha perso circa il 20% di abbonati.
Andrea