Di Marco Travaglio:
Lucio e Marco
Lucio Dalla fa miracoli anche da morto. Il funerale proprio il 4 marzo nella sua Piazza Grande. L’abbraccio di tutta Bologna e di un bel pezzo d’Italia dentro e fuori San Petronio, dopo due giorni interi passati ad ascoltare le sue note sparse nell’aria della sua città. E soprattutto il saluto finale di Marco Alemanno, il suo giovane innamorato, che ha straziato ma anche rinfrescato l’atmosfera della vecchia basilica, strappando l’unico applauso non stonato (per il resto, gli applausi in chiesa sono sempre stonati): l’applauso liberatorio per un gesto che ha squarciato il velo di tanta ipocrisia e anche, diciamolo pure, di tanta omofobia.
Non so se fosse previsto – nel rigido cerimoniale fissato dalla Curia bolognese, così rigido da negare a tutti noi persino un ritornello, una nota delle sue canzoni – che Marco leggesse, oltre al testo del brano “Le rondini”, anche il suo ricordo personale degli ultimi anni vissuti accanto a Lucio: quel ricordo che si è concluso con un “grazie!” urlato e commosso proprio sotto l’altare. Può darsi che si sia trattato di un fuori programma che ha colto di sorpresa anche qualcuno dei preti concelebranti avvolti nei paramenti viola-quaresima. Certo era voluto l’affettuoso accenno che padre Bernardo Boschi, amico e confessore di Lucio, ha dedicato a Marco nell’omelia (“questo tonfo… quasi crudele, vero Marco?… ci ha lasciati tutti più soli, più tristi”). Ma, sia che la cosa fosse prevista, sia che fosse un fuor d’opera, meglio così: è stata una benedizione anche per chi, come il sottoscritto, pensa che la vita sessuale di una persona sia un fatto privato, salvo che la persona stessa non decida di metterlo in pubblico.
Su questo hanno detto e scritto in tanti, dopo l’aspra invettiva-provocazione di Aldo Busi. Ma, comunque la si pensi, è un fatto che Lucio Dalla abbia condiviso gli ultimi anni della sua vita (i più sereni, fra l’altro, per unanime riconoscimento degli amici più cari) con un giovane uomo: Marco Alemanno, appunto. Quel che è accaduto in San Petronio, anche se non voluto fino in fondo, fa bene alla Chiesa: le scrolla di dosso un’immagine sessuofobica e omofoba che tanti dolori ha provocato a molti credenti omosessuali e soprattutto ai loro famigliari e che ancora, al funerale di domenica, è echeggiata nelle parole di monsignor Gabriele Cavina, numero tre della Curia bolognese, che ha presentato Alemanno come “collaboratore” di Dalla e ha rammentato il dovere della confessione e della penitenza per non “accostarsi all’Eucarestia in peccato mortale”.
Un precetto che molti han trovato superfluo e soprattutto stonato, in quel contesto. Ma il piccolo miracolo di San Petronio fa bene anche al mondo dell’informazione che, se possibile, riesce talvolta a essere più ipocrita e omofobo persino di certe gerarchie ecclesiastiche, ossessionate dal sesso e digiune d’amore. Prima che Marco ci liberasse con un semplice grazie da tante tartuferie, molti giornali, tv e siti web l’avevano presentato come “amico”, “collega”, “stretto collaboratore” e altri ridicoli e imbarazza(n)ti giri di parole per non usare la più bella e la più semplice delle espressioni: compagno innamorato.
In prima fila, in basilica, c’erano politici di destra e di sinistra che per anni sono stati al governo o in Parlamento e non sono riusciti, anzi sono riusciti a non dare all’Italia una legge che riconosca i diritti minimi a due innamorati di sesso “sbagliato”. Conoscendo Lucio, quei politici sapevano tutto di lui e di Marco: a loro quel che è accaduto in San Petronio non ha rivelato nulla. Se ora, usciti di chiesa e tornati in Parlamento, la presentassero e la votassero tutti insieme, quella legge che manca solo all’Italia, compirebbero un gesto semplicemente doveroso, soprattutto per i non famosi. Un gesto tutt’altro che coraggioso, perché ci vuole un bel coraggio a non compierlo. Sarebbe l’ultimo miracolo di Lucio.
Il Fatto Quotidiano, 6 Marzo 2012
giovedì 8 marzo 2012
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