sabato 27 luglio 2013

27 luglio 2013

Evasione fiscale, Letta dura senza paura.

Di Marco Travaglio

Il Fatto Quotidiano


Brrr che paura: Enrico Letta minaccia lotta dura senza paura, “con forza e determinazione”, contro l’evasione fiscale: “Gli italiani che hanno portato i soldi fuori dall’Italia devono sapere che non è più come 5 o 10 anni fa: conviene anche a loro riportare i soldi in Italia e pagare il dovuto”. E questo perché “il clima è cambiato” e “non ci sono più le coperture di qualche anno fa”. Quindi gli evasori verranno inseguiti e catturati ovunque siano, “nei paradisi fiscali o in Svizzera”.
Non è meraviglioso? Il clima è talmente cambiato che B., dopo aver perso le elezioni, è di nuovo al governo. Pare incredibile, ma ha lo stesso nome e lo stesso cognome di quello che nel 2001, nel 2003 e nel 2009 varò tre scudi fiscali per consentire a chi aveva portato i soldi fuori di rimpatriarli clandestinamente, anonimamente, impunemente e pressoché gratuitamente (il terzo scudo passò anche grazie alle assenze di 59 deputati Pd). 
Anche il presidente della Repubblica è cambiato, anche se per un’altra curiosa combinazione si chiama esattamente come quello che promulgò il terzo scudo e, quando un cittadino lo fermò per la strada e gli domandò il perché di quella firma vergognosa, lo redarguì severamente.
C’è poi un’ultima, prodigiosa coincidenza: un certo S. B. fra quattro giorni comparirà al processoMediaset in Cassazione dopo la condanna in primo e secondo grado a 4 anni per frode fiscale. I giudici d’appello hanno sottolineato il suo indefesso impegno antievasione: “Con una strategia originata in anni in cui Silvio Berlusconi era incontestabilmente il gestore diretto di tutte le attività, il gruppo Fininvest, e più precisamente il suo fondatore e dominus, con l’aiuto dell’avvocato Mills ha costituito una galassia di società estere, alcune delle quali occulte, che occulte dovevano restare, tanto da corrompere la Guardia di Finanza che rischiava di scoprirle. Anche perché parte di tali fondi era utilizzata per scopi illeciti: dal finanziamento occulto di uomini politici alla corruzione di inquirenti, dalla corresponsione di somme a testi reticenti alla elusione della normativa italiana (specie della legge Mammì che dettava limiti al possesso di reti tv)”.
In quel sistema, “interponendo fra le major statunitensi e il gruppo Fininvest-Mediaset una serie di società estere che operavano adeguati ricarichi nella compravendita dei diritti” tv, furono “creati costi fittizi destinati a diminuire gli utili del gruppo e quindi le imposte da versare all’erario”. E dire che quei diritti “Mediaset avrebbe potuto averli al costo a cui le majors li vendevano”: invece B. mise in mezzo una miriade di intermediari “vicini, anche personalmente, al proprietario della società, Berlusconi”.
Risultato: i diritti tv “pervenivano a Mediaset con un differenziale di prezzo altissimo e del tutto ingiustificato, in una operatività proseguita per anni, sempre a opera degli stessi uomini che sempre avevano mantenuto la fiducia del proprietario”. Niente attenuanti generiche per B., colpevole di “un sistema di società e conti esteri portato avanti per molti anni, proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti, e condotto in posizione di assoluto vertice”. La condanna riguarda 7,3 milioni di euro, ma solo perché il grosso delle accuse s’è prescritto grazie a leggi fatte dallo stesso imputato (falso in bilancio e Cirielli): il totale delle “maggiorazioni di costo” è di “368 milioni di dollari”.
Quando il Letta nipote ha ammonito “gli italiani che han portato i soldi fuori dall’Italia”, a B. devono essere fischiate le orecchie. Qualcuno ha addirittura temuto un duro attacco del premier al principale di suo zio. Ma è stato un attimo: poi Fassina ha spiegato che “esiste un’evasione di sopravvivenza”, dettata da “ragioni profonde e strutturali che spingono molti soggetti a comportamenti di cui farebbero volentieri a meno”.
Ecco, risolto il problema: B. evadeva per sopravvivere. E Fassina spara cazzate per lo stesso motivo. Che s’ha da fa’, pe’ campa’.
Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2013

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