martedì 31 agosto 2010
31 agosto 2010
Ciao Beppe, io credo nelle parole, anche in momenti come questi dove ti verrebbe voglia di imprecare, di chiedere perchè?...sapendo che non c'è risposta!!!...Ciao dolce beppe, dolce come quel tuo sorriso sempre così naturale accompagnato da quella risata così bella!!!Le carezze che le tue creature e tua moglia ti daranno ti accompagneranno in questo viaggio che non so dove porta, ma so che ti porta via!!!Ciao beppe, il tuo dolce sorriso accompagnerà sempre il tuo ricordo.
lunedì 30 agosto 2010
31 agosto 2010
Ciao amici, sono rientrato a Tokio dopo il camp di preparazione fisica svolto a Fukuoka. E' andato tutto bene, nessun infortunio, e questo e' importante e le ragazze stanno bene. Ito San ha fatto davvero un ottimo lavoro, voglio ringraziarlo assieme a tutto lo staff dei preparatori e lo staff medico. Si respira un'aria di grande serenità e collaborazione all'interno della Federazione Giapponese; il clima e' molto leggero nonostante la grande mole di lavoro e i carichi pesanti; grande collaborazione tra i tecnici e grande partecipazione per tutti gli atleti che sanno condividere assieme sia i momenti divertenti sia i momenti di grande fatica!!!Mi ha colpito molto il clima di grande unità che c'è tra tutti gli atleti, si incoraggiano e si supportano tra loro in maniera molto bella e sincera.Questo pomeriggio in aereoporto a Fukuoka sono stato raggiunto dalla notizia che Alberto Zaccheroni è il nuovo c.t. del Giappone; immediatamente gli ho mandato un messaggio e lui in maniera carina mi ha risposto....quanto prima ci incontreremo.Mi fa molto piacere rivederlo, ricordo una bella chiaccherata durante una cena a Tarvisio in occasione delle Universiadi invernali.
Mandi
Mandi
domenica 29 agosto 2010
29 agosto 2010
A Giusy:
La lontananza da una persona fa male......ma rende incantevole ogni momento che passerai con lei!!!!!
La lontananza da una persona fa male......ma rende incantevole ogni momento che passerai con lei!!!!!
mercoledì 25 agosto 2010
26 agosto 2010
"Ciao caro Totò. Immagino che per te siano ore calde..non so nulla dei retroscena. Ho avuto il piacere di conoscerti come uomo oltre che come straordinario giocatore.. sento di dirti..SE PUOI, RESTA.. Il nostro popolo sa amare.. e tu sei amato.. nella vita d'oggi, questo qualcosa conta!! Sei un uomo e hai una famiglia; quindi sicuramente la decisione che prenderai sarà la più giusta, la migliore per te ei tuoi cari... Ma era giusto dirti quello che il vero popolo friulano ti vorrebbe dire. Ciao.. Un abbraccio sincero. Andrea Magro
domenica 22 agosto 2010
Ciao amici,....peccato per le sigarette...per il resto, bentornato!!Meno male che qualcuno ha pensato a lei!!!!
Zeman, partenza lampo
Il suo Foggia vince 3-0
1349 giorni dopo l'esonero a Lecce (22 dicembre 2006) il tecnico boemo si riaffaccia sul panorama calcistico italiano con un ritorno al passato: i suoi giovani vincono 3-0 in Lega Pro sul campo della Cavese
Ascolta Mail Stampa 24 commenti OKNotizie badzu Condividi su MySpace! Facebook CAVA DE' TIRRENI (Salerno), 22 agosto 2010 – Il maestro fuma, i ragazzi si divertono. Nessuno ha voglia di perdere il vizio: il Boemo delle "bionde", la sua creatura di stupire. Rieccolo, Zdenek Zeman, atterrare nuovamente nel campionato italiano: 1349 giorni dopo l'esonero a Lecce (22 dicembre 2006), sul piano più basso del professionismo, per lanciare la Sfida. In Lega Pro, campionato di Prima Divisione girone B, a Cava dé Tirreni, contro la Cavese. Vince 3-0 all'esordio (reti di Romagnoli, Varga e Sau). Zemanlandia atto secondo è un lampo, una fuga lanciata con preavviso. Un'avventura iniziata tutta di corsa.
Zdenek Zeman, tecnico del Foggia. Ianuale FALSA PARTENZA — E pensare che il nuovo viaggio di Zemanlandia ha un motore che si blocca troppo in fretta. Il pullman del Foggia (acquistato nei primi anni Novanta) lascia la squadra in panne sabato pomeriggio durante il viaggio verso la prima tappa della nuova storia. C'è bisogno di chiamare il "muletto" dalla Puglia, per essere in serata nel ritiro di Cava dé Tirreni. Si arriva giusto in tempo per la finale di Supercoppa Inter-Roma: il Boemo è davanti alla tv con Peppino Pavone. Fuma il motore di questo Foggia, come domenica di buon mattina il Boemo accende la prima sigaretta (ha un ritmo di 2 pacchetti al giorno) sfogliando i giornali (non si perde nemmeno un articolo: ha uno staff incaricato della rassegna stampa). Dispensa tranquillità, tra la riunione tattica prima del pranzo, qualche sorriso e tante visite. La liturgia del ritorno è ormai scritta da un mese, e la domanda è un rituale da osservare con devozione: “Mister, tornerà Zemanlandia?”. Lui non si scompone, pillole di calma apparente, ma chi lo conosce bene, assicura: “Dentro è un mare in tempesta”. Parola di Pavone, colonna portante del nuovo progetto: il d.s. è ancora al suo fianco, nella hall dell'albergo, come nel pomeriggio allo stadio.
LA MEGLIO GIOVENTU' — Il nuovo Foggia è l'elogio della lungimiranza. Media età dell'organico: 23 anni; nell'undici di partenza: 7 su 11 sono in quota Under 21; 8 dei 18 in lista nati negli anni Novanta. Sono i numeri estratti 30 giorni dopo la staffetta in proprietà con l'ingresso di Casillo. Bello, sbarazzino, ancora da rodare, ma si rivedono i movimenti e gli schemi dell'86: le premesse sembrano esserci tutte per una nuova Zemanlandia. Tanta gioventù, poi, garantisce soldi freschi dalla Lega Pro (il conteggio è complicato, si basa sui minuti giocati e sull'età: in una stagione un club di Lega Pro può arrivare anche oltre il milione di euro). Un flash dal futuro questo nuovo Foggia, con un taccuino che si riempie di nomi sconosciuti: c'è il talento di Insigne, classe '91 (attaccante sinistro), l'intelligenza di Kone (nato nel '90) a centrocampo, la tecnica e la potenza del centravanti Sau (23 anni), i guizzi di Laribi (anche lui un '91) e l'interessante jolly difensivo Romagnoli (un '90). Una macedonia di gioventù costruita in 2 settimane di mercato e 15 giorni di ritiro (con due partite ufficiali di Coppa Italia). Con una confessione firmata dal d.s. Pavone: “Zeman è abituato a lavorare con 40 giorni di ritiro, stavolta è stato costretto a diminuire i carichi di allenamento”.
L'ULTIMO RIBELLE — Proprio lui. 24 estati più tardi il suo primo Foggia: Zeman è accolto dagli applausi, dai fiori, dalla standing ovation del pubblico di Cava dé Tirreni, che gli concede uno striscione: “Zeman ti rendiamo onore per esserti schierato contro il calcio dei potenti”. L'ultimo ribelle fuma e non si alza dalla panchina (tranne per qualche richiamo ai suoi giovanotti in campo). Icona di un calcio da romanzo. Da questo pomeriggio ha iniziato una nuova battaglia: dopo le bombe sulle farmacie, le picconate al Sistema, il fumo in faccia, adesso ha voglia di tornare a insegnare, a stupire, a divertire. L'ultimo ribelle è tornato.
Mario Pagliara
Zeman, partenza lampo
Il suo Foggia vince 3-0
1349 giorni dopo l'esonero a Lecce (22 dicembre 2006) il tecnico boemo si riaffaccia sul panorama calcistico italiano con un ritorno al passato: i suoi giovani vincono 3-0 in Lega Pro sul campo della Cavese
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Zdenek Zeman, tecnico del Foggia. Ianuale FALSA PARTENZA — E pensare che il nuovo viaggio di Zemanlandia ha un motore che si blocca troppo in fretta. Il pullman del Foggia (acquistato nei primi anni Novanta) lascia la squadra in panne sabato pomeriggio durante il viaggio verso la prima tappa della nuova storia. C'è bisogno di chiamare il "muletto" dalla Puglia, per essere in serata nel ritiro di Cava dé Tirreni. Si arriva giusto in tempo per la finale di Supercoppa Inter-Roma: il Boemo è davanti alla tv con Peppino Pavone. Fuma il motore di questo Foggia, come domenica di buon mattina il Boemo accende la prima sigaretta (ha un ritmo di 2 pacchetti al giorno) sfogliando i giornali (non si perde nemmeno un articolo: ha uno staff incaricato della rassegna stampa). Dispensa tranquillità, tra la riunione tattica prima del pranzo, qualche sorriso e tante visite. La liturgia del ritorno è ormai scritta da un mese, e la domanda è un rituale da osservare con devozione: “Mister, tornerà Zemanlandia?”. Lui non si scompone, pillole di calma apparente, ma chi lo conosce bene, assicura: “Dentro è un mare in tempesta”. Parola di Pavone, colonna portante del nuovo progetto: il d.s. è ancora al suo fianco, nella hall dell'albergo, come nel pomeriggio allo stadio.
LA MEGLIO GIOVENTU' — Il nuovo Foggia è l'elogio della lungimiranza. Media età dell'organico: 23 anni; nell'undici di partenza: 7 su 11 sono in quota Under 21; 8 dei 18 in lista nati negli anni Novanta. Sono i numeri estratti 30 giorni dopo la staffetta in proprietà con l'ingresso di Casillo. Bello, sbarazzino, ancora da rodare, ma si rivedono i movimenti e gli schemi dell'86: le premesse sembrano esserci tutte per una nuova Zemanlandia. Tanta gioventù, poi, garantisce soldi freschi dalla Lega Pro (il conteggio è complicato, si basa sui minuti giocati e sull'età: in una stagione un club di Lega Pro può arrivare anche oltre il milione di euro). Un flash dal futuro questo nuovo Foggia, con un taccuino che si riempie di nomi sconosciuti: c'è il talento di Insigne, classe '91 (attaccante sinistro), l'intelligenza di Kone (nato nel '90) a centrocampo, la tecnica e la potenza del centravanti Sau (23 anni), i guizzi di Laribi (anche lui un '91) e l'interessante jolly difensivo Romagnoli (un '90). Una macedonia di gioventù costruita in 2 settimane di mercato e 15 giorni di ritiro (con due partite ufficiali di Coppa Italia). Con una confessione firmata dal d.s. Pavone: “Zeman è abituato a lavorare con 40 giorni di ritiro, stavolta è stato costretto a diminuire i carichi di allenamento”.
L'ULTIMO RIBELLE — Proprio lui. 24 estati più tardi il suo primo Foggia: Zeman è accolto dagli applausi, dai fiori, dalla standing ovation del pubblico di Cava dé Tirreni, che gli concede uno striscione: “Zeman ti rendiamo onore per esserti schierato contro il calcio dei potenti”. L'ultimo ribelle fuma e non si alza dalla panchina (tranne per qualche richiamo ai suoi giovanotti in campo). Icona di un calcio da romanzo. Da questo pomeriggio ha iniziato una nuova battaglia: dopo le bombe sulle farmacie, le picconate al Sistema, il fumo in faccia, adesso ha voglia di tornare a insegnare, a stupire, a divertire. L'ultimo ribelle è tornato.
Mario Pagliara
22 agosto 2010
Ciao amici,
Prandelli e la solitudine dell'allenatore
di DARIO CRESTO-DINA
Cesare Prandelli
FIRENZE - Che campionato sarà quello che comincia domenica prossima? Senza Mourinho, dopo i fallimenti di Capello, Lippi e Maradona il mister tornerà a essere un insegnante di calcio? E sulla scena gli attori saranno uomini, bambini viziati o ragazzi cattivi? Lo domando a Cesare Prandelli, cinquantadue anni, nuovo commissario tecnico della Nazionale. Si parte da lontano, da che cosa c'è o ci dovrebbe essere dentro un mestiere fortunato. Il mestiere di allenare può contenere un desiderio, nient'altro. Chi è nato povero sa che è molto meglio desiderare che possedere. Finché non si possono toccare, le meraviglie inseguite racchiudono in sé qualcosa di magico.
A Orzinuovi il nonno di Prandelli aveva una piccola azienda di acque minerali e bibite, ogni sera riuniva figli e nipoti attorno al tavolo della cucina, contava l'incasso della giornata, metteva i soldi in una scatola e, prima di nasconderla nel tiretto più basso della stufa, teneva da parte una manciata di monete che buttava sul pavimento ai bambini. Cesare era il solo a non raccoglierle. Non voleva chinarsi verso un'elemosina, voleva guadagnarsi il suo Natale. Agognarlo. Lo fa ancora adesso. È rimasto là, nella fila di quelli che desiderano. Dice: "Certo, mi dà fastidio non avere vinto nulla, se non due scudetti e un Viareggio con le giovanili, ma so che succederà presto. Io sono fortunato". Ma subito insiste sulla relatività di fortuna e sfortuna, ricorda la parabola dei due contadini dai poderi confinanti, uno che smarrisce la vacca più bella della stalla e l'altro che gli fa pesare la disgrazia, ma il primo dopo qualche giorno ritrova la mucca nel bosco e con lei un cavallo, la sfortuna ha generato una fortuna, e i due vanno avanti all'infinito tra miserie e ricchezze, figli strappati dalle guerre e affetti riguadagnati, carezze e rovesci della sorte, perdendo la misura dei destini paralleli.
"Prendi la cosa peggiore che può succedere a un allenatore: il licenziamento. Spesso l'esonero è un bene, ti permette di guardarti dentro per capire se e dove hai sbagliato. Puoi imparare a sdrammatizzare. Quando Zamparini mi cacciò dal Venezia alla quarta giornata di campionato, mi spaccai la testa per settimane. Che faccio? Adesso che faccio? mi ripetevo ossessivamente. Fino a quando un giorno ho cominciato a giocare a golf". La casa di Cesare Prandelli è in via della Torre del Gallo, sopra Firenze, un po' di verde e di vento, tanto cielo. Sulla soglia si sta accomiatando qualcuno della Fiorentina. È passato a dargli le ultime notizie. Due giocatori si sono separati dalla moglie, uno di loro vuole fargli sapere di avergli lasciato una lettera al bar, l'uomo gli dice che gliela porterà. Al piano terra un tapis roulant, molti libri, nessuno di calcio, cataloghi d'arte, quadri moderni ai muri, una piccola scrivania con un computer portatile, un tavolo da lavoro degli anni Cinquanta con lo stantuffo della morsa di legno, fotografie della moglie Manuela che non c'è più, un gagliardetto della Nazionale. Prepara il caffè, dopo che lo abbiamo bevuto risciacqua le tazzine. "È la solitudine che mi fa essere ordinato", dice.
Bisogna cancellare anche le tracce della nostra presenza per ingannarla. Il figlio Nicolò si è sposato e lavora a Parma, la figlia Carolina rimarrà un anno in Inghilterra per motivi di studio. "L'allenatore è sempre solo. Fino a quando non si confronta con la squadra. Non posso dire di avere amici tra i colleghi, ho frequentato a lungo solo chi ha fatto il corso con me a Coverciano: Colomba, Sandreani, Novellino". Questo è un mestiere che si inizia a indossare quando se ne pratica ancora un altro. Per lui cominciò nell'ultima stagione alla Juventus e nell'autunno della carriera a Bergamo. "Mi accorsi che avevo smesso di guardare la partita con l'occhio piccolo del giocatore, con il narcisismo di chi crede di recitare uno spettacolo privato. Nei ritiri i ragazzi bussavano alla mia camera, mi chiedevano consigli. Non ero un campione, cercavo di farmi apprezzare per qualcos'altro. Sotto la maglia di calciatore ho cominciato a sentirmene un'altra".
Nell'Atalanta un ginocchio lo abbandona, si fa operare ma i medici gli consigliano di smettere se non vuole rischiare di rimanere zoppo. "Ho trentadue anni, dico a Emiliano Mondonico: vado a Orzinuovi e mi cerco una squadra di bambini, mi piacerebbe insegnare calcio. Lui mi fa: aspetta, parlo io con il presidente. Cesare Bortolotti mi propone di restare, c'è un posto nelle giovanili. Morirà dieci giorni dopo, durante i campionati mondiali del '90. Faccio appena in tempo a dirgli grazie". Sono tre mesi che Prandelli si domanda che cosa può fare per l'Italia. "Non ho una risposta, rifletto su come sia stato possibile che una squadra campione del mondo non sia riuscita a farsi amare e sia andata in giro a prendere fischi. Se i tempi non cambiano, dobbiamo provare a cambiarli noi. Forse bisogna tornare alla semplicità. Mi piace il paragone con il lavoro dell'artigiano, il falegname che torna a usare il talento delle mani e che sa di non potere costruire un letto in un giorno. Stiamo annegando nel calcio dei paradossi. Ci sono autisti che in due mesi diventano dirigenti o procuratori, buoni calciatori che dopo un colpo di tacco vengono celebrati come campionissimi e si fa fatica a convincerli che si è trattato di un episodio, genitori che abdicano al loro ruolo, presidenti che promettono di puntare tutto sui giovani salvo poi farli fuori dopo due sconfitte perché in realtà ciò che vogliono è il risultato e lo vogliono subito, anzi, se esiste una scorciatoia da qualche parte sono già lì che prendono la rincorsa. Questo è il paese delle scorciatoie. Io predico ai miei giocatori: non tutto vi è dovuto, dimostratemi che sapete essere generosi e curiosi. L'altro porta dentro di sé una cultura, avere l'umiltà di volerlo conoscere ci arricchisce".
La semplicità è la lente di ingrandimento attraverso la quale guarda la sua professione. "Il calcio è semplice, forse geometrico, per dirla con Zeman. Nello sviluppo del gioco non esistono schemi. Gli schemi si applicano soltanto su palle inattive. Dopo l'Olanda di Cruijff, fu rivoluzionaria l'Italia dell'82 in Spagna. Bearzot giocava con due punte, due mezze punte e due esterni offensivi. Scirea era un centrocampista aggiunto, Cabrini un attaccante di fascia. Sacchi ha portato l'organizzazione al potere. Giocava già il martedì la partita della domenica, spostando la squadra in avanti di trenta metri creava un effetto sorpresa che schiacciava l'avversario nella sua metà campo. Zeman ha insegnato agli allenatori italiani come si attacca, è stato un maestro straordinario della fase offensiva, uno che continua a essere studiato. Mourinho è un talento nel prendere la testa del gruppo, costringe Eto'o a fare il terzino, sposta Cambiasso stopper, manda in panchina Maicon e Stankovic eppure tutti lo amano e lo temono come fosse Alessandro Magno o Napoleone. Oggi le squadre sono organizzate. Non c'è più nulla da inventare, ci hanno provato solo i tedeschi in Sudafrica con un 4-2-3-1 senza punti di riferimento. La differenza la fanno la velocità di esecuzione, cioè pensare in anticipo il passaggio, il possesso palla e le qualità tecniche dei giocatori. Ormai esistono soltanto due tipi di allenatori: quello che sa far crescere i giovani, come Wenger e Guardiola, e quello che sa gestire i fuoriclasse. Senza campioni l'allenatore conta poco e non vince più, basta pensare alla Spagna che ha conquistato Europei e Mondiali con due tecnici diversi. E all'Inter, di gran lunga la favorita del campionato che sta per iniziare, nonostante l'arrivo di Adriano alla Roma e la rinnovata Juventus di Del Neri che farà bene perché è un martello e ha il coraggio di dire in conferenza stampa: Del Piero sta fuori. Ecco perché dobbiamo costruire nuovi talenti".
Mi racconta di quando allenava i giovani dell'Atalanta. Avevano abolito le classifiche, ogni quaranta giorni ai ragazzi venivano controllati i risultati scolastici e chi aveva brutti voti era escluso dalle convocazioni. "Mino Favini era il responsabile del settore giovanile. Chiamava me, Vavassori, Gustinetti e Finardi e ci raccomandava di non frenare mai l'abilità dei giocatori, di non modificare le loro caratteristiche più istintive, anche quando le ritenevamo un limite, un'incompletezza. C'era, per esempio, Thomas Locatelli che faceva tutto con il mancino. E Mino che ci ripeteva: lasciatelo in pace, si diverte, avrà tempo per usare anche il destro. A Bergamo ho imparato che vincere è importante, ma che il vero piacere fisico lo provo quando dalla panchina vedo la mia squadra stare in campo con l'idea che ho cercato di cucirle addosso e tutti hanno i tempi di gioco giusti, non solo i tempi per se stessi. E mi dico, felice: questa è una squadra".
Cesare Prandelli ha frequentato due università. È stato due anni a Coverciano con Franco Ferrari, il professore, un maestro di tecnica e tattica. Sei a Torino, nella Juventus di Trapattoni, Zoff, Scirea, Tardelli, Causio, Furino, Bettega, Platini, Rossi, Boniek. Una squadra dallo spirito militare, unita nella divisione, spietata anche al suo interno. Nello spogliatoio si fronteggiavano due gruppi, quello di Furino e quello di Bettega. Arrivò Platini, soffrì sei mesi, li decapitò entrambi e prese il comando. Boniperti piombava agli allenamenti e scriveva con il gesso i nomi di tre giornalisti sulla lavagna: "Con questi non dovete parlare". Nessuno sgarrava. All'uscita del campo gli ultimi arrivati chiedevano le generalità all'intervistatore che gli si parava di fronte e se era uno di quei tre scappavano via in un amen. Alla faccia dello stile Juve. "Ogni settimana organizzavamo una cena in qualche ristorante della collina. Era un nostro desiderio, ci svagavamo, si imparava a conoscersi. Dividevamo il conto, nulla era gratis. Se qualcuno beveva tre bicchieri di vino in più, gli altri lo fermavano. Stare assieme costituiva la forza di quella squadra, anche se non posso dire vi fosse amicizia vera, se non tra Zoff e Scirea. Gay era una persona di intelligenza e bontà rare, non ha mai pronunciato un giudizio cattivo su un compagno o un avversario. Dino era taciturno, ricordo di averlo sentito parlare solo due volte nello spogliatoio, ma in quelle due occasioni tutti gli altri si sono zittiti e hanno abbassato la testa sugli scarpini". Balotelli e Cassano, se vogliono, intendano.
"Con Cassano non ho mai litigato, gli va tolto il marchio che si è messo sulla pelle. Per Balotelli vale la regola Favini: lasciamolo divertire, per ora, e che faccia i suoi numeri da giocoliere. Il tempo contiene sempre la verità. Penso a Pazzini, sono assolutamente certo di non avere sbagliato con lui. A Firenze era troppo coccolato, non sarebbe mai cresciuto. Oggi, rispetto a venti, trent'anni fa, i giocatori sono più individualisti. Vivono barricati nel loro mondo e spesso quel mondo è malamente popolato. Li vedi uscire da una sconfitta sorridenti, come se non gliene fregasse nulla, eppure ci sono atteggiamenti di strafottenza che vanno interpretati nel loro esatto contrario, perché esprimono uno stato d'animo di disagio. Ho letto così il gesto degli azzurri più giovani ai mondiali, quelle foto scattate con i cellulari prima della partita decisiva con la Slovacchia. Mi è sembrato il sintomo di una difficoltà, di paura, una richiesta di aiuto. Il lavoro fuori campo di un allenatore è questo: cercare di prevenire i problemi, ascoltando anche i silenzi. Durante la settimana il giocatore ti trasmette sempre qualcosa, se lo capisci in ritardo, e a me è successo, sei fottuto".
Cesare Prandelli è un timido, come tutti i timidi è permaloso. Come tutti gli onesti, di una franchezza acuminata. Ha detto tre volte no alla Gea di Moggi, nel mestiere non fa il padre né l'amico, è gentile ma duro, la domenica dopo la partita non parla alla squadra per non correre il rischio di dire cose sgradevoli, lo fa il martedì, un "processo" di quasi un'ora sugli aspetti temperamentali e caratteriali. Non va a cena con i giocatori. "Sono professionisti super stipendiati. Devono assumersi le proprie responsabilità, se li assecondi tendono allo scaricabarile. Sono pronto ad ascoltare i loro problemi, come un genitore con i figli adulti. Ma c'è un momento in cui devono tirare fuori l'anima. Devono andare avanti. Da soli. Non possono girarsi, non possono guardarmi. Se lo fanno sono pronto a dir loro, anche con violenza: adesso basta. Lo dovremmo fare di più".
Grazie Signor Prandelli, spero un giorno di conoscerla.
Prandelli e la solitudine dell'allenatore
di DARIO CRESTO-DINA
Cesare Prandelli
FIRENZE - Che campionato sarà quello che comincia domenica prossima? Senza Mourinho, dopo i fallimenti di Capello, Lippi e Maradona il mister tornerà a essere un insegnante di calcio? E sulla scena gli attori saranno uomini, bambini viziati o ragazzi cattivi? Lo domando a Cesare Prandelli, cinquantadue anni, nuovo commissario tecnico della Nazionale. Si parte da lontano, da che cosa c'è o ci dovrebbe essere dentro un mestiere fortunato. Il mestiere di allenare può contenere un desiderio, nient'altro. Chi è nato povero sa che è molto meglio desiderare che possedere. Finché non si possono toccare, le meraviglie inseguite racchiudono in sé qualcosa di magico.
A Orzinuovi il nonno di Prandelli aveva una piccola azienda di acque minerali e bibite, ogni sera riuniva figli e nipoti attorno al tavolo della cucina, contava l'incasso della giornata, metteva i soldi in una scatola e, prima di nasconderla nel tiretto più basso della stufa, teneva da parte una manciata di monete che buttava sul pavimento ai bambini. Cesare era il solo a non raccoglierle. Non voleva chinarsi verso un'elemosina, voleva guadagnarsi il suo Natale. Agognarlo. Lo fa ancora adesso. È rimasto là, nella fila di quelli che desiderano. Dice: "Certo, mi dà fastidio non avere vinto nulla, se non due scudetti e un Viareggio con le giovanili, ma so che succederà presto. Io sono fortunato". Ma subito insiste sulla relatività di fortuna e sfortuna, ricorda la parabola dei due contadini dai poderi confinanti, uno che smarrisce la vacca più bella della stalla e l'altro che gli fa pesare la disgrazia, ma il primo dopo qualche giorno ritrova la mucca nel bosco e con lei un cavallo, la sfortuna ha generato una fortuna, e i due vanno avanti all'infinito tra miserie e ricchezze, figli strappati dalle guerre e affetti riguadagnati, carezze e rovesci della sorte, perdendo la misura dei destini paralleli.
"Prendi la cosa peggiore che può succedere a un allenatore: il licenziamento. Spesso l'esonero è un bene, ti permette di guardarti dentro per capire se e dove hai sbagliato. Puoi imparare a sdrammatizzare. Quando Zamparini mi cacciò dal Venezia alla quarta giornata di campionato, mi spaccai la testa per settimane. Che faccio? Adesso che faccio? mi ripetevo ossessivamente. Fino a quando un giorno ho cominciato a giocare a golf". La casa di Cesare Prandelli è in via della Torre del Gallo, sopra Firenze, un po' di verde e di vento, tanto cielo. Sulla soglia si sta accomiatando qualcuno della Fiorentina. È passato a dargli le ultime notizie. Due giocatori si sono separati dalla moglie, uno di loro vuole fargli sapere di avergli lasciato una lettera al bar, l'uomo gli dice che gliela porterà. Al piano terra un tapis roulant, molti libri, nessuno di calcio, cataloghi d'arte, quadri moderni ai muri, una piccola scrivania con un computer portatile, un tavolo da lavoro degli anni Cinquanta con lo stantuffo della morsa di legno, fotografie della moglie Manuela che non c'è più, un gagliardetto della Nazionale. Prepara il caffè, dopo che lo abbiamo bevuto risciacqua le tazzine. "È la solitudine che mi fa essere ordinato", dice.
Bisogna cancellare anche le tracce della nostra presenza per ingannarla. Il figlio Nicolò si è sposato e lavora a Parma, la figlia Carolina rimarrà un anno in Inghilterra per motivi di studio. "L'allenatore è sempre solo. Fino a quando non si confronta con la squadra. Non posso dire di avere amici tra i colleghi, ho frequentato a lungo solo chi ha fatto il corso con me a Coverciano: Colomba, Sandreani, Novellino". Questo è un mestiere che si inizia a indossare quando se ne pratica ancora un altro. Per lui cominciò nell'ultima stagione alla Juventus e nell'autunno della carriera a Bergamo. "Mi accorsi che avevo smesso di guardare la partita con l'occhio piccolo del giocatore, con il narcisismo di chi crede di recitare uno spettacolo privato. Nei ritiri i ragazzi bussavano alla mia camera, mi chiedevano consigli. Non ero un campione, cercavo di farmi apprezzare per qualcos'altro. Sotto la maglia di calciatore ho cominciato a sentirmene un'altra".
Nell'Atalanta un ginocchio lo abbandona, si fa operare ma i medici gli consigliano di smettere se non vuole rischiare di rimanere zoppo. "Ho trentadue anni, dico a Emiliano Mondonico: vado a Orzinuovi e mi cerco una squadra di bambini, mi piacerebbe insegnare calcio. Lui mi fa: aspetta, parlo io con il presidente. Cesare Bortolotti mi propone di restare, c'è un posto nelle giovanili. Morirà dieci giorni dopo, durante i campionati mondiali del '90. Faccio appena in tempo a dirgli grazie". Sono tre mesi che Prandelli si domanda che cosa può fare per l'Italia. "Non ho una risposta, rifletto su come sia stato possibile che una squadra campione del mondo non sia riuscita a farsi amare e sia andata in giro a prendere fischi. Se i tempi non cambiano, dobbiamo provare a cambiarli noi. Forse bisogna tornare alla semplicità. Mi piace il paragone con il lavoro dell'artigiano, il falegname che torna a usare il talento delle mani e che sa di non potere costruire un letto in un giorno. Stiamo annegando nel calcio dei paradossi. Ci sono autisti che in due mesi diventano dirigenti o procuratori, buoni calciatori che dopo un colpo di tacco vengono celebrati come campionissimi e si fa fatica a convincerli che si è trattato di un episodio, genitori che abdicano al loro ruolo, presidenti che promettono di puntare tutto sui giovani salvo poi farli fuori dopo due sconfitte perché in realtà ciò che vogliono è il risultato e lo vogliono subito, anzi, se esiste una scorciatoia da qualche parte sono già lì che prendono la rincorsa. Questo è il paese delle scorciatoie. Io predico ai miei giocatori: non tutto vi è dovuto, dimostratemi che sapete essere generosi e curiosi. L'altro porta dentro di sé una cultura, avere l'umiltà di volerlo conoscere ci arricchisce".
La semplicità è la lente di ingrandimento attraverso la quale guarda la sua professione. "Il calcio è semplice, forse geometrico, per dirla con Zeman. Nello sviluppo del gioco non esistono schemi. Gli schemi si applicano soltanto su palle inattive. Dopo l'Olanda di Cruijff, fu rivoluzionaria l'Italia dell'82 in Spagna. Bearzot giocava con due punte, due mezze punte e due esterni offensivi. Scirea era un centrocampista aggiunto, Cabrini un attaccante di fascia. Sacchi ha portato l'organizzazione al potere. Giocava già il martedì la partita della domenica, spostando la squadra in avanti di trenta metri creava un effetto sorpresa che schiacciava l'avversario nella sua metà campo. Zeman ha insegnato agli allenatori italiani come si attacca, è stato un maestro straordinario della fase offensiva, uno che continua a essere studiato. Mourinho è un talento nel prendere la testa del gruppo, costringe Eto'o a fare il terzino, sposta Cambiasso stopper, manda in panchina Maicon e Stankovic eppure tutti lo amano e lo temono come fosse Alessandro Magno o Napoleone. Oggi le squadre sono organizzate. Non c'è più nulla da inventare, ci hanno provato solo i tedeschi in Sudafrica con un 4-2-3-1 senza punti di riferimento. La differenza la fanno la velocità di esecuzione, cioè pensare in anticipo il passaggio, il possesso palla e le qualità tecniche dei giocatori. Ormai esistono soltanto due tipi di allenatori: quello che sa far crescere i giovani, come Wenger e Guardiola, e quello che sa gestire i fuoriclasse. Senza campioni l'allenatore conta poco e non vince più, basta pensare alla Spagna che ha conquistato Europei e Mondiali con due tecnici diversi. E all'Inter, di gran lunga la favorita del campionato che sta per iniziare, nonostante l'arrivo di Adriano alla Roma e la rinnovata Juventus di Del Neri che farà bene perché è un martello e ha il coraggio di dire in conferenza stampa: Del Piero sta fuori. Ecco perché dobbiamo costruire nuovi talenti".
Mi racconta di quando allenava i giovani dell'Atalanta. Avevano abolito le classifiche, ogni quaranta giorni ai ragazzi venivano controllati i risultati scolastici e chi aveva brutti voti era escluso dalle convocazioni. "Mino Favini era il responsabile del settore giovanile. Chiamava me, Vavassori, Gustinetti e Finardi e ci raccomandava di non frenare mai l'abilità dei giocatori, di non modificare le loro caratteristiche più istintive, anche quando le ritenevamo un limite, un'incompletezza. C'era, per esempio, Thomas Locatelli che faceva tutto con il mancino. E Mino che ci ripeteva: lasciatelo in pace, si diverte, avrà tempo per usare anche il destro. A Bergamo ho imparato che vincere è importante, ma che il vero piacere fisico lo provo quando dalla panchina vedo la mia squadra stare in campo con l'idea che ho cercato di cucirle addosso e tutti hanno i tempi di gioco giusti, non solo i tempi per se stessi. E mi dico, felice: questa è una squadra".
Cesare Prandelli ha frequentato due università. È stato due anni a Coverciano con Franco Ferrari, il professore, un maestro di tecnica e tattica. Sei a Torino, nella Juventus di Trapattoni, Zoff, Scirea, Tardelli, Causio, Furino, Bettega, Platini, Rossi, Boniek. Una squadra dallo spirito militare, unita nella divisione, spietata anche al suo interno. Nello spogliatoio si fronteggiavano due gruppi, quello di Furino e quello di Bettega. Arrivò Platini, soffrì sei mesi, li decapitò entrambi e prese il comando. Boniperti piombava agli allenamenti e scriveva con il gesso i nomi di tre giornalisti sulla lavagna: "Con questi non dovete parlare". Nessuno sgarrava. All'uscita del campo gli ultimi arrivati chiedevano le generalità all'intervistatore che gli si parava di fronte e se era uno di quei tre scappavano via in un amen. Alla faccia dello stile Juve. "Ogni settimana organizzavamo una cena in qualche ristorante della collina. Era un nostro desiderio, ci svagavamo, si imparava a conoscersi. Dividevamo il conto, nulla era gratis. Se qualcuno beveva tre bicchieri di vino in più, gli altri lo fermavano. Stare assieme costituiva la forza di quella squadra, anche se non posso dire vi fosse amicizia vera, se non tra Zoff e Scirea. Gay era una persona di intelligenza e bontà rare, non ha mai pronunciato un giudizio cattivo su un compagno o un avversario. Dino era taciturno, ricordo di averlo sentito parlare solo due volte nello spogliatoio, ma in quelle due occasioni tutti gli altri si sono zittiti e hanno abbassato la testa sugli scarpini". Balotelli e Cassano, se vogliono, intendano.
"Con Cassano non ho mai litigato, gli va tolto il marchio che si è messo sulla pelle. Per Balotelli vale la regola Favini: lasciamolo divertire, per ora, e che faccia i suoi numeri da giocoliere. Il tempo contiene sempre la verità. Penso a Pazzini, sono assolutamente certo di non avere sbagliato con lui. A Firenze era troppo coccolato, non sarebbe mai cresciuto. Oggi, rispetto a venti, trent'anni fa, i giocatori sono più individualisti. Vivono barricati nel loro mondo e spesso quel mondo è malamente popolato. Li vedi uscire da una sconfitta sorridenti, come se non gliene fregasse nulla, eppure ci sono atteggiamenti di strafottenza che vanno interpretati nel loro esatto contrario, perché esprimono uno stato d'animo di disagio. Ho letto così il gesto degli azzurri più giovani ai mondiali, quelle foto scattate con i cellulari prima della partita decisiva con la Slovacchia. Mi è sembrato il sintomo di una difficoltà, di paura, una richiesta di aiuto. Il lavoro fuori campo di un allenatore è questo: cercare di prevenire i problemi, ascoltando anche i silenzi. Durante la settimana il giocatore ti trasmette sempre qualcosa, se lo capisci in ritardo, e a me è successo, sei fottuto".
Cesare Prandelli è un timido, come tutti i timidi è permaloso. Come tutti gli onesti, di una franchezza acuminata. Ha detto tre volte no alla Gea di Moggi, nel mestiere non fa il padre né l'amico, è gentile ma duro, la domenica dopo la partita non parla alla squadra per non correre il rischio di dire cose sgradevoli, lo fa il martedì, un "processo" di quasi un'ora sugli aspetti temperamentali e caratteriali. Non va a cena con i giocatori. "Sono professionisti super stipendiati. Devono assumersi le proprie responsabilità, se li assecondi tendono allo scaricabarile. Sono pronto ad ascoltare i loro problemi, come un genitore con i figli adulti. Ma c'è un momento in cui devono tirare fuori l'anima. Devono andare avanti. Da soli. Non possono girarsi, non possono guardarmi. Se lo fanno sono pronto a dir loro, anche con violenza: adesso basta. Lo dovremmo fare di più".
Grazie Signor Prandelli, spero un giorno di conoscerla.
giovedì 19 agosto 2010
20 agosto 2010
Ciao amici , un saluto da Fukuoka.Siamo in questa citta` del sud del Giappone per il nostro camp di preparazione fisica e tecnica in previsione dei campionati del mondo di Parigi. Ho voluto iniziare il 16 Agosto per avere il giusto tempo per distribuire tutti i carichi di lavoro che le ragazze necessitano.La parte atletica e` gestita da Ito San, il preparatore che segue buona parte delle fiorettiste, e che dalla prossima stagione seguira` tutto il fioretto femminile.Wada San, il Maestro che lavora con me,mi aiutera` nella gestione della lezione.In questo periodo cercheremo di sviluppare e migliorare le qualita` fisiche delle ragazze e cureremo con calma molti aspetti tecnici evidenziati durante la stagione di coppa del mondo e i campionati asiatici; il supporto video sara` molto importante per osservare ed analizzare i gesti tecnici.Emura San, il manager della federazione, e` qui con noi e ci aiuta nella gestione dell`allenamento.
Un caro saluto a tutti.
Un caro saluto a tutti.
martedì 17 agosto 2010
17 agosto 2010
Ciao amici, una splendida notizia : Benignita` lesione ginecomastica.
tre parole belle, che sanno di carezza sul viso!!!
Ciao
tre parole belle, che sanno di carezza sul viso!!!
Ciao
domenica 15 agosto 2010
16 agosto 2010
Ciao amici...non c'è niente da fare è più forte di noi !!!!
Pellegrini, niente 400
Giallo o un male italiano?Dal nostro inviato PAOLO ROSSI (La Repubblica)
BUDAPEST - Ci piace farci del male. Ci piace essere un po' Tafazzi. Noi italiani, sì. Un pochino, e non tutti. Però è un gioco, quello di trovare il pelo nell'uovo. Federica Pellegrini non si presenta alla partenza dell'ultima batteria dei 400 sl: la quarta corsia, quella più importante, è vuota. Ha vinto la febbre, il virus con cui convive da inizio settimana. In fondo lo aveva già anticipato dopo la vittoria dei 200 sl, che non si sentiva bene e che non si 'sentiva' di fare i 400 sl. Si è alzata all'alba, è andata in piscina, ha fatto le sue vasche. Pare abbia avuto anche un buon riscontro cronometrico, però ha avvertito qualcosa dentro, ha preferito rinunciare. Apriti cielo. In casa Italia si amano le interpretazioni, la dietrologia e i retroscena. Altro che giornalisti. "Ma perché ha rinunciato? Avrebbe vinto facile" ha detto qualcuno. Ed altri: "hai sentito la frase su Morini? C'è qualcosa che non va.....". Il giallo. Eppure è sufficiente incrociarla casualmente nella hall dell'albergo per verificare lo stato di salute, gli occhi lucidi. Eppure anche altri hanno avuto sintomi febbrili (Giacchetti, Consiglio).
La verità è che il mondo della Pellegrini è troppo perfetto per certa gente del mondo del nuoto. Possibile mai che Federica rinunciasse nonostante la presenza sugli spalti dei genitori, venuti apposta da Venezia? E le critiche a Morini? Non ha fatto altro che ripetere che Alberto Castagnetti "era" Alberto Castagnetti, e Stefano Morini ha un'altra personalità. E poi, tanto per ricordarlo, Morini se l'è scelto lei personalmente. Dunque, quale motivo avrebbe per tornare dopo la sua decisione dopo un anno che si è rivelato vincente? Questi sono semplicemente i fatti. Ma c'è chi vuole colpire la Pellegrini, sapendo di colpire il suo club, l'Aniene (ed anche il suo presidente, Malagò). Disturbare, sabotare, spezzare l'equilibrio vincente. La domanda è: ma ce la meritiamo una come Federica Pellegrini?
Pellegrini, niente 400
Giallo o un male italiano?Dal nostro inviato PAOLO ROSSI (La Repubblica)
BUDAPEST - Ci piace farci del male. Ci piace essere un po' Tafazzi. Noi italiani, sì. Un pochino, e non tutti. Però è un gioco, quello di trovare il pelo nell'uovo. Federica Pellegrini non si presenta alla partenza dell'ultima batteria dei 400 sl: la quarta corsia, quella più importante, è vuota. Ha vinto la febbre, il virus con cui convive da inizio settimana. In fondo lo aveva già anticipato dopo la vittoria dei 200 sl, che non si sentiva bene e che non si 'sentiva' di fare i 400 sl. Si è alzata all'alba, è andata in piscina, ha fatto le sue vasche. Pare abbia avuto anche un buon riscontro cronometrico, però ha avvertito qualcosa dentro, ha preferito rinunciare. Apriti cielo. In casa Italia si amano le interpretazioni, la dietrologia e i retroscena. Altro che giornalisti. "Ma perché ha rinunciato? Avrebbe vinto facile" ha detto qualcuno. Ed altri: "hai sentito la frase su Morini? C'è qualcosa che non va.....". Il giallo. Eppure è sufficiente incrociarla casualmente nella hall dell'albergo per verificare lo stato di salute, gli occhi lucidi. Eppure anche altri hanno avuto sintomi febbrili (Giacchetti, Consiglio).
La verità è che il mondo della Pellegrini è troppo perfetto per certa gente del mondo del nuoto. Possibile mai che Federica rinunciasse nonostante la presenza sugli spalti dei genitori, venuti apposta da Venezia? E le critiche a Morini? Non ha fatto altro che ripetere che Alberto Castagnetti "era" Alberto Castagnetti, e Stefano Morini ha un'altra personalità. E poi, tanto per ricordarlo, Morini se l'è scelto lei personalmente. Dunque, quale motivo avrebbe per tornare dopo la sua decisione dopo un anno che si è rivelato vincente? Questi sono semplicemente i fatti. Ma c'è chi vuole colpire la Pellegrini, sapendo di colpire il suo club, l'Aniene (ed anche il suo presidente, Malagò). Disturbare, sabotare, spezzare l'equilibrio vincente. La domanda è: ma ce la meritiamo una come Federica Pellegrini?
15 agosto 2010
Ciao amici, auguri di buon ferragosto.
Vi svegliate un giorno e non avete più parole per dire "giorno".Scendete in strada e non avete più parole per dire "strada". Poi scoprite che la città è piena di smemorati come voi, che vagano sperduti in una nebbia di cose senza nome, incapaci di parlare e ricordare, incapaci di pensare. perchè tutti, quel giorno, avete perso le parole, le avete perse per sempre, ed è colpa vostra.
Soltanto un ragazzo, "Frullo", è salvo dall'incantesimo e può raccontare i fatti incredibili che hanno portato a tutto questo. Soltanto lui, perchè ha conosciuto il libraio.
Un uomo misterioso, giunto in città con i suoi bauli pieni di libri e tanta voglia di raccontarli, più che di venderli.
Accolto male dalla comunità perchè diverso, straniero, e quindi estraneo, il libraio riesce a stabilire un magico legame solo con Frullo, che , nascosto dietro due pile di libri, lo ascolta leggere ogni sera i passi più belli dei grandi poeti e romanzieri di ogni tempo.
E quelle parole, per Frullo come per ogni lettore, spalancano di colpo un universo di emozioni e di storie che hanno un'eco lunga, come una favola infinita.
tratto da il libro: "Il libraio di Selinunte" R. Vecchioni
Vi svegliate un giorno e non avete più parole per dire "giorno".Scendete in strada e non avete più parole per dire "strada". Poi scoprite che la città è piena di smemorati come voi, che vagano sperduti in una nebbia di cose senza nome, incapaci di parlare e ricordare, incapaci di pensare. perchè tutti, quel giorno, avete perso le parole, le avete perse per sempre, ed è colpa vostra.
Soltanto un ragazzo, "Frullo", è salvo dall'incantesimo e può raccontare i fatti incredibili che hanno portato a tutto questo. Soltanto lui, perchè ha conosciuto il libraio.
Un uomo misterioso, giunto in città con i suoi bauli pieni di libri e tanta voglia di raccontarli, più che di venderli.
Accolto male dalla comunità perchè diverso, straniero, e quindi estraneo, il libraio riesce a stabilire un magico legame solo con Frullo, che , nascosto dietro due pile di libri, lo ascolta leggere ogni sera i passi più belli dei grandi poeti e romanzieri di ogni tempo.
E quelle parole, per Frullo come per ogni lettore, spalancano di colpo un universo di emozioni e di storie che hanno un'eco lunga, come una favola infinita.
tratto da il libro: "Il libraio di Selinunte" R. Vecchioni
venerdì 13 agosto 2010
14 agosto 2010
Ciao amici, sono arrivato a casa, nel mio appartamentino di Tokio.La sensazione è un pò strana..mi muovo come un automa...il silenzio si fa sentire dopo 4 settimane a casa; il distacco è stato difficile.Sono state vacanze bellissime con tutta la famiglia, "complicate" dall'operazione e dall'attesa dell'esito...che spero arrivi presto!!!Domani mattina andrò in ospedale per togliermi i punti e poi lunedì mattina partenza per Fukuoka dove inizieremo il ritiro di preparazione fisica in vista dei campionati del mondo di Parigi.
Ciao
Ciao
giovedì 12 agosto 2010
12 agosto 2010
Ciao amici, ieri sera ho ricevuto un messaggio molto bello dal presidente del Club scherma Rapallo Egidio Del Carretto; sono felice che le incomprensioni nella palestra della Maestra Bozza siano state affrontate e risolte. Quando c'è la buona fede tutto si può risolvere!!Auguro a tutti loro di ripartire con entusiasmo e gioia!!
Ultimo giorno a casa, domani riparto per Tokio.
Il 16 Agosto assieme alle fiorettiste partiremo per Fukuoka dove inizieremo un periodo di lavoro atletico e tecnico per iniziare la lunga rincorsa al mondiale parigino.E' una tappa importante, ma per me ,non dobbiamo fare altro che riprendere il lavoro di costruzione iniziato 6 mesi fa.Le medaglie dei giochi Asiatici ci hanno regalato gioia ed entusiasmo, ma non dobbiamo fare l'errore di considerarci pronti per "duellare" per medaglie mondiali; la nostra priorità deve essere la continuità del lavoro di apprendimento a tutti i livelli: tecnico, tattico,fisico e mentale!!!Come ho detto molte volte...."lungo è il cammino che porta a lo monte.....", ma noi lo affrontiamo con profonda gioia e serenità!!
Ciao
Ultimo giorno a casa, domani riparto per Tokio.
Il 16 Agosto assieme alle fiorettiste partiremo per Fukuoka dove inizieremo un periodo di lavoro atletico e tecnico per iniziare la lunga rincorsa al mondiale parigino.E' una tappa importante, ma per me ,non dobbiamo fare altro che riprendere il lavoro di costruzione iniziato 6 mesi fa.Le medaglie dei giochi Asiatici ci hanno regalato gioia ed entusiasmo, ma non dobbiamo fare l'errore di considerarci pronti per "duellare" per medaglie mondiali; la nostra priorità deve essere la continuità del lavoro di apprendimento a tutti i livelli: tecnico, tattico,fisico e mentale!!!Come ho detto molte volte...."lungo è il cammino che porta a lo monte.....", ma noi lo affrontiamo con profonda gioia e serenità!!
Ciao
mercoledì 11 agosto 2010
11 Agosto 2010
Ciao amici,
Mi chiamo Andrea Magro, ho fatto per 15 anni il C.T. delle Nazionali Italiane
di fioretto femminile (per 8 anni il fioretto maschile e per 3 anni le sciabole
maschili e femminili) e ho avuto il piacere di avere per molti anni tra i miei
collaboratori la Maestra Gabriella Bozza; una grande professionista, una donna
innamorata del proprio lavoro, una donna innamorata della scherma.Ho seguito
per quasi 20 anni il lavoro che questa persona ha fatto per il suo "Club
Scherma Rapallo"; l'ho vista creare più generazioni di atlete e atleti di
ottimo livello.L'ho vista accompagnare la crescita strutturale del suo club,
una palestra che è diventata per Gabriella "la sua vita".Negli anni il club è
diventato una realtà importante nel panorama nazionale.Quando ho chiesto alla
Maestra Bozza di entrare a far parte dello Staff della Nazionale ho trovato una
professionista straordinaria, una donna con grandissimi valori etici e morali
che hanno contribuito a creare un certo tipo di cultura sulle quali si è basata
la Nostra Nazionale di Fioretto Femminile.Scrivo questa mia mail perchè ho
saputo che in questi giorni il Club sta vivendo momenti di grande tensione e
credo che questo sia un momento molto delicato per una realta straordinaria,
bella ,sana così come solo questo tipo di realtà sportive sanno essere.Questi
club costruiti, con grandi sacrifici, con grande passione spesso si sfaldano,
per piccole incomprensioni, classiche delle "debolezze umane".....è dovere di
tutti far in modo che ogni persona metta da parte alcuni lati del proprio
carattere per non distruggere i "sogni " dei piccoli schermidori che in quel
club avevano trovato...una seconda casa, una seconda madre pronta a dare loro
tutto il proprio amore per lo sport che ama!!!
Caro Presidente, ho avuto il piacere di conoscerLa e so quanto sia difficile
fare il responsabile dirigenziali di un club come il Suo....bisogna navigare tra
mille difficoltà, e purtroppo quelle economiche sono devastanti.Rispetto il suo
desiderio di dimissioni(anche se mi auguro che per il bene comune sia pronto a
fare un passo indietro....), ma con estrema sincerità le dico...cerchi di
capire e valutare bene l'importanza dell'equilibrio dei rapporti tra dirigente
e tecnico.Gabriella ha costruito dal nulla questa realtà, ha dato al Suo club
tutta se stessa e in maniera innegabile è stata la spina dorsale di questa
realta.Quando si passano intere gionate in palestra, con i propri atleti,
quando non esistono ferie, quando si passa l'estate a rinnovare, a dipingere, a
pulire ....la propria casa...vuol dire che l'amore per quella casa è enorme, la
passione per il Nostro sport è vero è autentico!!!!Lei che è il Presidente, Lei
che ha questo ruolo non può non saperlo , non può non capirlo.Il rapporto tra
dirigenti e tecnici è sempre stato difficile e complicato, ognuno è convinto di
essere indispensabile....e qui si crea la frattura!!Ho sentito il desiderio di
scrivere questa lettera perchè ho avuto il piacere di conoscervi, di
frequentarvi...straordinario il ricordo del ritiro pre universiadi a Rapallo
assieme alla nazionale russa con la manifestazione in piazza.....una settimana
straordinaria, nella quale ci eravamo sentiti a casa!! Vi prego, ve lo dico con
il cuore in mano, non distruggete UNA STORIA CHE DURA DA 25 ANNI, non
disperdete una cultura sportiva, una passione, cosi vera!!!Vi assicuro che è
merce rara!!!
Vi auguro con tutto il cuore di avere la Voglia, la Forza di trovare la strada
per ripartire tutti assieme questa straorfinaria storia!!La scherma italiana
non può permettersi di perdervi-
Andrea Magro (C.T. Nazionale fioretto femminile del Giappone)
Mi chiamo Andrea Magro, ho fatto per 15 anni il C.T. delle Nazionali Italiane
di fioretto femminile (per 8 anni il fioretto maschile e per 3 anni le sciabole
maschili e femminili) e ho avuto il piacere di avere per molti anni tra i miei
collaboratori la Maestra Gabriella Bozza; una grande professionista, una donna
innamorata del proprio lavoro, una donna innamorata della scherma.Ho seguito
per quasi 20 anni il lavoro che questa persona ha fatto per il suo "Club
Scherma Rapallo"; l'ho vista creare più generazioni di atlete e atleti di
ottimo livello.L'ho vista accompagnare la crescita strutturale del suo club,
una palestra che è diventata per Gabriella "la sua vita".Negli anni il club è
diventato una realtà importante nel panorama nazionale.Quando ho chiesto alla
Maestra Bozza di entrare a far parte dello Staff della Nazionale ho trovato una
professionista straordinaria, una donna con grandissimi valori etici e morali
che hanno contribuito a creare un certo tipo di cultura sulle quali si è basata
la Nostra Nazionale di Fioretto Femminile.Scrivo questa mia mail perchè ho
saputo che in questi giorni il Club sta vivendo momenti di grande tensione e
credo che questo sia un momento molto delicato per una realta straordinaria,
bella ,sana così come solo questo tipo di realtà sportive sanno essere.Questi
club costruiti, con grandi sacrifici, con grande passione spesso si sfaldano,
per piccole incomprensioni, classiche delle "debolezze umane".....è dovere di
tutti far in modo che ogni persona metta da parte alcuni lati del proprio
carattere per non distruggere i "sogni " dei piccoli schermidori che in quel
club avevano trovato...una seconda casa, una seconda madre pronta a dare loro
tutto il proprio amore per lo sport che ama!!!
Caro Presidente, ho avuto il piacere di conoscerLa e so quanto sia difficile
fare il responsabile dirigenziali di un club come il Suo....bisogna navigare tra
mille difficoltà, e purtroppo quelle economiche sono devastanti.Rispetto il suo
desiderio di dimissioni(anche se mi auguro che per il bene comune sia pronto a
fare un passo indietro....), ma con estrema sincerità le dico...cerchi di
capire e valutare bene l'importanza dell'equilibrio dei rapporti tra dirigente
e tecnico.Gabriella ha costruito dal nulla questa realtà, ha dato al Suo club
tutta se stessa e in maniera innegabile è stata la spina dorsale di questa
realta.Quando si passano intere gionate in palestra, con i propri atleti,
quando non esistono ferie, quando si passa l'estate a rinnovare, a dipingere, a
pulire ....la propria casa...vuol dire che l'amore per quella casa è enorme, la
passione per il Nostro sport è vero è autentico!!!!Lei che è il Presidente, Lei
che ha questo ruolo non può non saperlo , non può non capirlo.Il rapporto tra
dirigenti e tecnici è sempre stato difficile e complicato, ognuno è convinto di
essere indispensabile....e qui si crea la frattura!!Ho sentito il desiderio di
scrivere questa lettera perchè ho avuto il piacere di conoscervi, di
frequentarvi...straordinario il ricordo del ritiro pre universiadi a Rapallo
assieme alla nazionale russa con la manifestazione in piazza.....una settimana
straordinaria, nella quale ci eravamo sentiti a casa!! Vi prego, ve lo dico con
il cuore in mano, non distruggete UNA STORIA CHE DURA DA 25 ANNI, non
disperdete una cultura sportiva, una passione, cosi vera!!!Vi assicuro che è
merce rara!!!
Vi auguro con tutto il cuore di avere la Voglia, la Forza di trovare la strada
per ripartire tutti assieme questa straorfinaria storia!!La scherma italiana
non può permettersi di perdervi-
Andrea Magro (C.T. Nazionale fioretto femminile del Giappone)
martedì 10 agosto 2010
10 agosto 2010
Ciao amici, ieri sulla Repubblica ho letto questa intervista a Montella che ora lavora per il settore giovanile della Roma. Mi hanno fatto molto piacere le sue idee e le sue parole.....chissa se a qualcuno........sono fischiate le orecchie....!!!!?
A Vincenzo Montella non serviva il fallimento nel mondiale della nazionale italiana per capire che le cose a livello di settore giovanile erano in crisi. Un anno fa cominciò la sua nuova carriera da allenatore con la Roma portando non solo i suoi 141 gol e 283 presenze in serie A, ma anche tante idee e una visione nuova di come una società di calcio dovrebbe far crescere campioni. Ha alternato il campo, Coverciano e corsi di aggiornamento alla Luiss. Ha allenato giovani di 14 anni ma non parlando solo di calcio. A Natale ha regalato a tutti i suoi ragazzi un libro, "L'alchimista" di Paulo Coelho con una dedica speciale "Per capire come inseguire e raggiungere un grande sogno". L'ex "aeroplanino" ha anche cercato di dare un'educazione sportiva ai genitori. Lettere per spiegare i danni del doping, l'importanza dell'alimentazione e soprattutto come gestire le esuberanze alla Balotelli e le depressioni per qualche panchina di troppo. "I genitori sono un grande problema. Troppe aspettative, troppa pressione sui ragazzi: sono tutti convinti di essere i papà di Totti".
Montella, per far crescere campioni non basta insegnare calcio?
"La prima domanda non deve essere come portare i giovani in serie A, ma come non creare degli infelici. Il calcio in Italia ha soprattutto un ruolo sociale. Delle migliaia di ragazzi che affollano i settori giovanili, arriva al professionismo una percentuale che sfiora l'1%. Di quelli che giocano nelle squadre Primavera, ad un passo dal professionismo, il 5% arriva in serie A e solo il 40% continua a giocare al calcio. Troppi giovani delusi, frustrati e senza titolo di studio. Una fabbrica di falliti".
Non è sufficiente fare l'allenatore...
"Non basta pensare solo alla tecnica. Le società di calcio hanno il dovere di pensare anche alla crescita della persona. Non serve insegnare solo stop e palleggi ma anche stimolare e curare la parte intellettiva dell'individuo: la convocazione per la partita dovrebbe tener conto anche dell'andamento scolastico. E negli staff dedicati ai settori giovanili dovrebbero esserci anche dei professori. Allenamenti e compiti. Avremo più campioni e meno infelici".
Ma per far ripartire il calcio in Italia non basta qualche libro in più.
"A questa "rivoluzione" dobbiamo affiancarne un'altra di cultura sportiva. Nei settori giovanili non serve vincere, non deve essere questo il fine. Quest'anno alla mia prima esperienza nel campionato "Giovanissimi nazionali" ho visto colleghi schierare giocatori che magari non sapevano stoppare un pallone ma erano alti 1.90 e fisicamente possenti. Era evidente che il loro unico scopo era vincere. Ma che senso ha? Il lavoro di un allenatore del settore giovanile si valuta da quanti ragazzi porta in prima squadra e non dalle coppe vinte".
L'impressione è che non ci sia più una scuola Italia.
"È vero ognuno va per la propria strada. Tante realtà diverse, anche di valore: penso ai vivai dell'Empoli, dell'Atalanta e della Roma. Intanto devono cominciare le società: metodo di allenamento unico, dai pulcini alla Primavera, con confronti settimanali tra i vari tecnici per verificare il lavoro. Così nasce una scuola, così nascono i campioni. Perché in Italia i talenti non mancano".
(la Repubblica)
A Vincenzo Montella non serviva il fallimento nel mondiale della nazionale italiana per capire che le cose a livello di settore giovanile erano in crisi. Un anno fa cominciò la sua nuova carriera da allenatore con la Roma portando non solo i suoi 141 gol e 283 presenze in serie A, ma anche tante idee e una visione nuova di come una società di calcio dovrebbe far crescere campioni. Ha alternato il campo, Coverciano e corsi di aggiornamento alla Luiss. Ha allenato giovani di 14 anni ma non parlando solo di calcio. A Natale ha regalato a tutti i suoi ragazzi un libro, "L'alchimista" di Paulo Coelho con una dedica speciale "Per capire come inseguire e raggiungere un grande sogno". L'ex "aeroplanino" ha anche cercato di dare un'educazione sportiva ai genitori. Lettere per spiegare i danni del doping, l'importanza dell'alimentazione e soprattutto come gestire le esuberanze alla Balotelli e le depressioni per qualche panchina di troppo. "I genitori sono un grande problema. Troppe aspettative, troppa pressione sui ragazzi: sono tutti convinti di essere i papà di Totti".
Montella, per far crescere campioni non basta insegnare calcio?
"La prima domanda non deve essere come portare i giovani in serie A, ma come non creare degli infelici. Il calcio in Italia ha soprattutto un ruolo sociale. Delle migliaia di ragazzi che affollano i settori giovanili, arriva al professionismo una percentuale che sfiora l'1%. Di quelli che giocano nelle squadre Primavera, ad un passo dal professionismo, il 5% arriva in serie A e solo il 40% continua a giocare al calcio. Troppi giovani delusi, frustrati e senza titolo di studio. Una fabbrica di falliti".
Non è sufficiente fare l'allenatore...
"Non basta pensare solo alla tecnica. Le società di calcio hanno il dovere di pensare anche alla crescita della persona. Non serve insegnare solo stop e palleggi ma anche stimolare e curare la parte intellettiva dell'individuo: la convocazione per la partita dovrebbe tener conto anche dell'andamento scolastico. E negli staff dedicati ai settori giovanili dovrebbero esserci anche dei professori. Allenamenti e compiti. Avremo più campioni e meno infelici".
Ma per far ripartire il calcio in Italia non basta qualche libro in più.
"A questa "rivoluzione" dobbiamo affiancarne un'altra di cultura sportiva. Nei settori giovanili non serve vincere, non deve essere questo il fine. Quest'anno alla mia prima esperienza nel campionato "Giovanissimi nazionali" ho visto colleghi schierare giocatori che magari non sapevano stoppare un pallone ma erano alti 1.90 e fisicamente possenti. Era evidente che il loro unico scopo era vincere. Ma che senso ha? Il lavoro di un allenatore del settore giovanile si valuta da quanti ragazzi porta in prima squadra e non dalle coppe vinte".
L'impressione è che non ci sia più una scuola Italia.
"È vero ognuno va per la propria strada. Tante realtà diverse, anche di valore: penso ai vivai dell'Empoli, dell'Atalanta e della Roma. Intanto devono cominciare le società: metodo di allenamento unico, dai pulcini alla Primavera, con confronti settimanali tra i vari tecnici per verificare il lavoro. Così nasce una scuola, così nascono i campioni. Perché in Italia i talenti non mancano".
(la Repubblica)
10 agosto
Ciao amici,non riesco ad essere fluido nel scrivere questo mio post....vi voglio raccontare che sono tornato a casa ieri sera dopo essere stato in ospedale a Gemona per un intervento nella zona della mammella destra.Sono stati giorni difficili e di grande preoccupazione. Pensavo che la punta del fioretto, durante una delle tante lezioni, avesse fatto un danno......"serio"; invece sembra che il colpo abbia segnalato, abbia fatto emergere "il problema".L'intervento è riuscito ed è stata asportato la zona "ammalata".Il chirurgo terminata l'operazione mi ha assolutamente rassicurato dicendomi che i linfonodi non erano stati intaccati e che il problema era di origine benigna. Ora dovrò aspettare 15 giorni per l'esame istologico; ma mi auguro che la valutazione sia corretta....assolutamente corretta!!!Un ringraziamento a tutto il personale dell'Ospedale di Gemona e al chirurgo la Dottoressa Elena Marcotti che mi ha operato, al Dott. Isola che non è solo il mio medico ma è il mio amico!!
Ciao
Ciao
sabato 7 agosto 2010
7 agosto 2010
Ciao amici,ho tratto molti spunti e molte riflessioni da questo articolo, sulle esperienze che ho vissuto in questi miei primi 15 anni da ct nella gestione degli atleti e degli staff e sulle situazioni che sto affrontando ora in Giappone.Questi articoli, sono pane quotidiano per chi, come me, non ha studiato da CT ma ha cercato di istruirsi da solo.
MENTAL TRAINING (SCHERMAONLINE)
di tutte le discipline sportive, dal 'top level' ai settori giovanili, siano radicalmente cambiate negli ultimi decenni.
Grazie ai numerosi studi sulle scienze motorie e al basso costo delle tecnologie informatiche multimediali, oggi in palestra è possibile:
1 curare in ogni minimo dettaglio l’aspetto fisico dell’atleta, attraverso sedute di allenamento personalizzate e feedback valutativi individuali mirati a un potenziamento equilibrato dell’organismo, realizzati utilizzando sofisticate apparecchiature elettroniche sempre più specifiche ed efficaci;
2 allenare la tecnica individuale avvalendosi di prodotti hardware e software di largo consumo per la registrazione, il montaggio e la riproduzione di filmati al fine di visualizzare, anche in forma di singoli fotogrammi sequenziali, i gesti tecnici effettuati dagli atleti, mettendo così in luce eventuali movimenti irrazionali impercettibili senza l’ausilio di tale strumentazione;
3 progettare la tattica da adottare contro un avversario mediante l’utilizzo di videocamere ed applicativi “ad hoc”, capaci di catturare ed archiviare dati e documenti video con i quali elaborare analisi statistiche in grado di sintetizzare, in maniera oggettiva, le performances sia individuali che di squadra dei propri atleti e di quelli avversari, durante allenamenti e gare.
Va tuttavia osservato che un’evoluzione così celere e fruttuosa delle metodologie di allenamento non è stata seguita da un incremento altrettanto rapido delle tecniche per l’allenamento di quella parte non visibile ma fondamentale di ogni singolo atleta e, conseguentemente, della squadra: l’aspetto mentale.
Di fronte a momenti “di black out”, ad una prestazione individuale “tesa”, ad una performance “irriconoscibile” o addirittura ad una stagione con rendimenti altalenanti mediamente al di sotto del potenziale degli atleti, spesso non si hanno altre parole per spiegare le reali difficoltà provate dall’intero team; non si riesce a dare una soluzione al problema e non si ha la forza di invertire la tendenza.
A volte, peggio ancora, si prende atto “del momento particolarmente difficile”, “della mancanza di carattere degli atleti e della squadra”, “delle scarse motivazioni”, riconoscendo di fatto un limite: quello di non essere in grado di modificare la situazione.
Sorgono quindi spontanee le domande seguenti:
1.è possibile cambiare una condizione emotiva individuale o di squadra?
2.Perché atleti alternano prestazioni di alto livello ad altre poco costanti
3.In cosa si differenziano certi atleti di caratura superiore rispetto ad altri che invece non riescono ad esprimersi ad alti livelli pur avendo le potenzialità e il talento?
4.Quali strade percorrere per cambiare un trend?
L’allenamento “mentale”, “dell’intelligenza emotiva” “del saper essere” di un atleta, se realizzato regolarmente lungo tutta la stagione, in dosi variabili a secondo del momento temporale e dell’ambiente di riferimento e in funzione delle peculiarità dei singoli schermitori è il sentiero all’interno del quale si possono trovare risposte appropriate alle domande precedenti.
“Il saper essere” è da considerare come un elemento integrativo del sistema, anch’esso capace di creare valore aggiunto e di contribuire al raggiungimento di determinati obiettivi individuali e di squadra; un elemento invisibile da curare nei minimi dettagli, alla stessa stregua di un fondamentale tecnico.
Va inoltre sottolineato che l’allenamento dell’intelligenza emotiva, oltre a riportare alla dimensione “umana” lo sport, ha la capacità di coinvolgere tutti coloro che ruotano attorno ad una società sportiva, dall’atleta ai tecnici, dai dirigenti delle società ai vari collaboratori (medici, fisioterapisti, …) e lungo la stagione agonistica interessa ogni aspetto della pratica sportiva: dalla gestione dell’atleta maturo a quella del giovane, dall’organizzazione degli allenamenti alla preparazione delle gare, dalla formazione e gestione del gruppo all’individuazione degli obiettivi di squadra ed individuali.
In quest’ottica si rivaluta e viene posto al centro dell’attenzione il singolo atleta come soggetto unico del sistema e componente della squadra, dotato di intelligenza e personalità propria nonché destinatario ed utilizzatore delle metodologie, degli strumenti e dei prodotti che tutti i giorni si utilizzano in palestra durante l’allenamento.
Chiaramente, con ciò non si vogliono disconoscere i benefici generati dall’introduzione e diffusione delle continue innovazioni e scoperte scientifiche nelle scienze motorie e nell’informatica multimediale, cui va comunque riconosciuto il grande merito di aver contribuito in maniera più o meno importante a compiere quel grande passo avanti sopra illustrato.
Verosimilmente, a nostro avviso, un simile approccio riequilibra una pratica sportiva oggi apparentemente sbilanciata verso la “razionalità e la scientificità” esercitata da “atleti macchine” cui è lasciata l’unica possibilità di conformarsi ai programmi studiati a tavolino e dove trovano spazio solamente numeri, scouts, statistiche.
In termini “concreti” il “muscolo” da allenare è il cervello.
Funzionalmente il cervello si compone di tre zone concentriche, le quali sottendono al controllo delle nostre funzioni fisiche e psicologiche.
Tali zone sono denominate:
1.Midollo spinale e cervelletto;
2.Amigdala;
3.Neo-corteccia.
La parte più alta del midollo spinale e il cervelletto rappresentano la zona centrale del nostro cervello e possono considerarsi un corpo unico.
Esso è la parte più ancestrale ed è responsabile della funzioni vitali, poiché controlla il respiro, il battito cardiaco, etc..
Midollo spinale e cervelletto sono il nostro cervello “rettile”, sempre attivo, la cui velocità di risposta alle sollecitazione è molto elevata.
L’amigdala è la parte “intermedia” del cervello.
Essa è sede della componente emozionale, e presiede agli affetti, alla collera, alla paura, all’aggressività, all’ansia, alla capacità e volontà di associarsi in gruppo.
Può essere considerata il cervello “mammifero”, che nel processo evolutivo delle specie ha consentito ai mammiferi di non estinguersi grazie appunto agli istinti di paura, collera, lotta, fuga, che hanno garantito loro la sopravvivenza.
Come per il midollo spinale e il cervelletto la velocità di risposta alle sollecitazione è molto elevata.
La Neo-corteccia è la parte più esterna del nostro cervello.
Essa, a sua volta, può essere divisa in due emisferi con funzionalità differenziate:
la parte destra, in cui vengono fisicamente memorizzate ed archiviate le nostre esperienze, dove l’inconscio e l’immaginazione, la creatività e il pensiero induttivo caratterizzano il “mistero funzionale”;
la parte sinistra che è la sede del pensiero logico-matematico, dove il cosciente e il volontario albergano e regnano.
La Neo-corteccia può essere considerata il cervello dell’ ”uomo moderno”: la più recente nel nostro lunghissimo processo evolutivo, che distingue appunto l’uomo dagli altri mammiferi.
A questo punto ci poniamo la domanda: durante la gara, negli stati emozionali più forti, quale dei tre cervelli controlla la situazione?
La risposta è scontata: il cervello mammifero, il cervello rettile e l’emisfero destro. Questi effettuano un vero sequestro emotivo impedendo all’emisfero sinistro (il cervello uomo razionale) di elaborare le informazioni in termini razionali e proporre una risposta volontaria.
In pratica con il ragionamento non riusciamo a “colloquiare” con il nostro corpo e in modo prioritario emerge quello che proviamo.
Basta pensare a un qualsiasi esame che dobbiamo affrontare: più cerchiamo o cercano di imporci la calma e più si verifica il risultato contrario di farci innervosire e provare ansia.
In altri termini, proviamo a dire ad un’atleta prima di una gara importante di stare rilassato e tranquillo: l’effetto sicuramente non sarà quello sperato.
Non è possibile con la razionalità imporre uno stato emotivo né tantomeno generare volontariamente comportamenti di aggressività, calma, sangue freddo ecc.
Dobbiamo quindi cercare di “colloquiare” con la nostra parte più recondita e sconosciuta, ma come?
L’allenamento mentale dell’intelligenza emotiva (o emotional training) serve a questo.
L’invito è soprattutto rivolto a riflettere e far riflettere sull’importanza della parte ”invisibile” che c’è dietro qualsiasi prestazione di movimento e, successivamente, a condividere, scambiare esperienze e replicare il percorso e le “buone pratiche” proposte in contesti e situazioni diverse, raccogliendo eventuali critiche positive e negative con il solo obiettivo di promuovere la “vera” attività sportiva.
Piace infine osservare che l’allenamento della parte invisibile, anche a livello “pilota” non ha controindicazioni e non genera problematiche agli atleti: i quali, al contrario, si sentono molto attratti e sollecitati.
Luciano Sabbatini
Roberto Penna
MENTAL TRAINING (SCHERMAONLINE)
di tutte le discipline sportive, dal 'top level' ai settori giovanili, siano radicalmente cambiate negli ultimi decenni.
Grazie ai numerosi studi sulle scienze motorie e al basso costo delle tecnologie informatiche multimediali, oggi in palestra è possibile:
1 curare in ogni minimo dettaglio l’aspetto fisico dell’atleta, attraverso sedute di allenamento personalizzate e feedback valutativi individuali mirati a un potenziamento equilibrato dell’organismo, realizzati utilizzando sofisticate apparecchiature elettroniche sempre più specifiche ed efficaci;
2 allenare la tecnica individuale avvalendosi di prodotti hardware e software di largo consumo per la registrazione, il montaggio e la riproduzione di filmati al fine di visualizzare, anche in forma di singoli fotogrammi sequenziali, i gesti tecnici effettuati dagli atleti, mettendo così in luce eventuali movimenti irrazionali impercettibili senza l’ausilio di tale strumentazione;
3 progettare la tattica da adottare contro un avversario mediante l’utilizzo di videocamere ed applicativi “ad hoc”, capaci di catturare ed archiviare dati e documenti video con i quali elaborare analisi statistiche in grado di sintetizzare, in maniera oggettiva, le performances sia individuali che di squadra dei propri atleti e di quelli avversari, durante allenamenti e gare.
Va tuttavia osservato che un’evoluzione così celere e fruttuosa delle metodologie di allenamento non è stata seguita da un incremento altrettanto rapido delle tecniche per l’allenamento di quella parte non visibile ma fondamentale di ogni singolo atleta e, conseguentemente, della squadra: l’aspetto mentale.
Di fronte a momenti “di black out”, ad una prestazione individuale “tesa”, ad una performance “irriconoscibile” o addirittura ad una stagione con rendimenti altalenanti mediamente al di sotto del potenziale degli atleti, spesso non si hanno altre parole per spiegare le reali difficoltà provate dall’intero team; non si riesce a dare una soluzione al problema e non si ha la forza di invertire la tendenza.
A volte, peggio ancora, si prende atto “del momento particolarmente difficile”, “della mancanza di carattere degli atleti e della squadra”, “delle scarse motivazioni”, riconoscendo di fatto un limite: quello di non essere in grado di modificare la situazione.
Sorgono quindi spontanee le domande seguenti:
1.è possibile cambiare una condizione emotiva individuale o di squadra?
2.Perché atleti alternano prestazioni di alto livello ad altre poco costanti
3.In cosa si differenziano certi atleti di caratura superiore rispetto ad altri che invece non riescono ad esprimersi ad alti livelli pur avendo le potenzialità e il talento?
4.Quali strade percorrere per cambiare un trend?
L’allenamento “mentale”, “dell’intelligenza emotiva” “del saper essere” di un atleta, se realizzato regolarmente lungo tutta la stagione, in dosi variabili a secondo del momento temporale e dell’ambiente di riferimento e in funzione delle peculiarità dei singoli schermitori è il sentiero all’interno del quale si possono trovare risposte appropriate alle domande precedenti.
“Il saper essere” è da considerare come un elemento integrativo del sistema, anch’esso capace di creare valore aggiunto e di contribuire al raggiungimento di determinati obiettivi individuali e di squadra; un elemento invisibile da curare nei minimi dettagli, alla stessa stregua di un fondamentale tecnico.
Va inoltre sottolineato che l’allenamento dell’intelligenza emotiva, oltre a riportare alla dimensione “umana” lo sport, ha la capacità di coinvolgere tutti coloro che ruotano attorno ad una società sportiva, dall’atleta ai tecnici, dai dirigenti delle società ai vari collaboratori (medici, fisioterapisti, …) e lungo la stagione agonistica interessa ogni aspetto della pratica sportiva: dalla gestione dell’atleta maturo a quella del giovane, dall’organizzazione degli allenamenti alla preparazione delle gare, dalla formazione e gestione del gruppo all’individuazione degli obiettivi di squadra ed individuali.
In quest’ottica si rivaluta e viene posto al centro dell’attenzione il singolo atleta come soggetto unico del sistema e componente della squadra, dotato di intelligenza e personalità propria nonché destinatario ed utilizzatore delle metodologie, degli strumenti e dei prodotti che tutti i giorni si utilizzano in palestra durante l’allenamento.
Chiaramente, con ciò non si vogliono disconoscere i benefici generati dall’introduzione e diffusione delle continue innovazioni e scoperte scientifiche nelle scienze motorie e nell’informatica multimediale, cui va comunque riconosciuto il grande merito di aver contribuito in maniera più o meno importante a compiere quel grande passo avanti sopra illustrato.
Verosimilmente, a nostro avviso, un simile approccio riequilibra una pratica sportiva oggi apparentemente sbilanciata verso la “razionalità e la scientificità” esercitata da “atleti macchine” cui è lasciata l’unica possibilità di conformarsi ai programmi studiati a tavolino e dove trovano spazio solamente numeri, scouts, statistiche.
In termini “concreti” il “muscolo” da allenare è il cervello.
Funzionalmente il cervello si compone di tre zone concentriche, le quali sottendono al controllo delle nostre funzioni fisiche e psicologiche.
Tali zone sono denominate:
1.Midollo spinale e cervelletto;
2.Amigdala;
3.Neo-corteccia.
La parte più alta del midollo spinale e il cervelletto rappresentano la zona centrale del nostro cervello e possono considerarsi un corpo unico.
Esso è la parte più ancestrale ed è responsabile della funzioni vitali, poiché controlla il respiro, il battito cardiaco, etc..
Midollo spinale e cervelletto sono il nostro cervello “rettile”, sempre attivo, la cui velocità di risposta alle sollecitazione è molto elevata.
L’amigdala è la parte “intermedia” del cervello.
Essa è sede della componente emozionale, e presiede agli affetti, alla collera, alla paura, all’aggressività, all’ansia, alla capacità e volontà di associarsi in gruppo.
Può essere considerata il cervello “mammifero”, che nel processo evolutivo delle specie ha consentito ai mammiferi di non estinguersi grazie appunto agli istinti di paura, collera, lotta, fuga, che hanno garantito loro la sopravvivenza.
Come per il midollo spinale e il cervelletto la velocità di risposta alle sollecitazione è molto elevata.
La Neo-corteccia è la parte più esterna del nostro cervello.
Essa, a sua volta, può essere divisa in due emisferi con funzionalità differenziate:
la parte destra, in cui vengono fisicamente memorizzate ed archiviate le nostre esperienze, dove l’inconscio e l’immaginazione, la creatività e il pensiero induttivo caratterizzano il “mistero funzionale”;
la parte sinistra che è la sede del pensiero logico-matematico, dove il cosciente e il volontario albergano e regnano.
La Neo-corteccia può essere considerata il cervello dell’ ”uomo moderno”: la più recente nel nostro lunghissimo processo evolutivo, che distingue appunto l’uomo dagli altri mammiferi.
A questo punto ci poniamo la domanda: durante la gara, negli stati emozionali più forti, quale dei tre cervelli controlla la situazione?
La risposta è scontata: il cervello mammifero, il cervello rettile e l’emisfero destro. Questi effettuano un vero sequestro emotivo impedendo all’emisfero sinistro (il cervello uomo razionale) di elaborare le informazioni in termini razionali e proporre una risposta volontaria.
In pratica con il ragionamento non riusciamo a “colloquiare” con il nostro corpo e in modo prioritario emerge quello che proviamo.
Basta pensare a un qualsiasi esame che dobbiamo affrontare: più cerchiamo o cercano di imporci la calma e più si verifica il risultato contrario di farci innervosire e provare ansia.
In altri termini, proviamo a dire ad un’atleta prima di una gara importante di stare rilassato e tranquillo: l’effetto sicuramente non sarà quello sperato.
Non è possibile con la razionalità imporre uno stato emotivo né tantomeno generare volontariamente comportamenti di aggressività, calma, sangue freddo ecc.
Dobbiamo quindi cercare di “colloquiare” con la nostra parte più recondita e sconosciuta, ma come?
L’allenamento mentale dell’intelligenza emotiva (o emotional training) serve a questo.
L’invito è soprattutto rivolto a riflettere e far riflettere sull’importanza della parte ”invisibile” che c’è dietro qualsiasi prestazione di movimento e, successivamente, a condividere, scambiare esperienze e replicare il percorso e le “buone pratiche” proposte in contesti e situazioni diverse, raccogliendo eventuali critiche positive e negative con il solo obiettivo di promuovere la “vera” attività sportiva.
Piace infine osservare che l’allenamento della parte invisibile, anche a livello “pilota” non ha controindicazioni e non genera problematiche agli atleti: i quali, al contrario, si sentono molto attratti e sollecitati.
Luciano Sabbatini
Roberto Penna
venerdì 6 agosto 2010
6 agosto 2010
Caro Gigi, questa è dedicata a te!!!
O Primm'Ammore (Roberto Vecchioni)
S'io fusse stato, ammore,
'o primmo nnmmurato tuje,
nun me tuccasse i nierve
chillo tiempo senz'e nuje;
ch'aggia sunnà cumm'ere
quanno nun penzav'a mme:
'na dia 'e guagliona che runzava
'munno attuorn'a tte;
ch'aggia sunna quanno tenive
sule sirici anni,
e s'abbruciava ll'aria e mare
ca te steva attuorno...
t'aggia rrubba nu vase doce,
doce comme'a luna;
aggia a pruvà ch'e mmane
che re 'o fatto da suttana:
t'avesse a sbattere int'o scuro
a 'o cinema Eccelsior
cu sti capille ca profumano
'e Christian Dior;
t'aggia vedé nt'all'uocchie
bella comme a chella llà,
pecché vurria sapé si mmo
tu si chiu bbella assaje:
e tutt'o iuorno
penz'a tte comme a chell'ata
penz'a tte si fusse stata:
comme fusse stata tu
'o primm'ammore
'o primm'ammore
ca te fotte sempe,
e nun t'o lieve d'o core;
'o primm'ammore
'o primm'ammore
te fotte sempe,
ma 'o primm è sempe 'o "migliore".
S' i' fusse stato, ammore,
'o primmo nnammurato tuje,
nun me truvasse mo' a sunnà
'stu tiempo e tut'e duje,
addò putesse chiagnere pe tte
dint'a na sera,
n' appiccicata 'e niente,
'ntussecato 'a 'sta manera;
e o iuorno roppo fora a scola
cu o cappiello 'n mano,
i' me facesse perdunà
parlanno chiano, chiano.
E mmo me vire:
penzo a tte comm'a chell'ata
penz'a tte si fusse stata,
comme fusse stata tu
'o primm'ammore
'o primm'ammore
ca te fotte sempe,
e nun t'o lieve d'o core;
'o primm'ammore
'o primm'ammore
te fotte sempe,
ma 'o primm è sempe 'o "migliore".
(lei) Ammore, songo sempe nnammurata
comme 'na guagliona,
ma 'o tiempo perzo
quanno nun ce stive,
nun mo dà nisciuno:
i' te vurria veré cumm'ere,
pe ssentì stu core,
che sbatte forte comme l'onna
scura dint' o mare.
E tutto o iourno
penz'a tte comm'a chell'ata
penz'a tte pecché si statta,
penz'a tte pecché si ttu:
'o primm'ammore
'o primm'ammore
ca te fotte sempe,
e nun t'o lieve d'o core;
'o primm'ammore
'o primm'ammore
te fotte sempe,
ma 'o primm è sempe 'o "migliore".
O Primm'Ammore (Roberto Vecchioni)
S'io fusse stato, ammore,
'o primmo nnmmurato tuje,
nun me tuccasse i nierve
chillo tiempo senz'e nuje;
ch'aggia sunnà cumm'ere
quanno nun penzav'a mme:
'na dia 'e guagliona che runzava
'munno attuorn'a tte;
ch'aggia sunna quanno tenive
sule sirici anni,
e s'abbruciava ll'aria e mare
ca te steva attuorno...
t'aggia rrubba nu vase doce,
doce comme'a luna;
aggia a pruvà ch'e mmane
che re 'o fatto da suttana:
t'avesse a sbattere int'o scuro
a 'o cinema Eccelsior
cu sti capille ca profumano
'e Christian Dior;
t'aggia vedé nt'all'uocchie
bella comme a chella llà,
pecché vurria sapé si mmo
tu si chiu bbella assaje:
e tutt'o iuorno
penz'a tte comme a chell'ata
penz'a tte si fusse stata:
comme fusse stata tu
'o primm'ammore
'o primm'ammore
ca te fotte sempe,
e nun t'o lieve d'o core;
'o primm'ammore
'o primm'ammore
te fotte sempe,
ma 'o primm è sempe 'o "migliore".
S' i' fusse stato, ammore,
'o primmo nnammurato tuje,
nun me truvasse mo' a sunnà
'stu tiempo e tut'e duje,
addò putesse chiagnere pe tte
dint'a na sera,
n' appiccicata 'e niente,
'ntussecato 'a 'sta manera;
e o iuorno roppo fora a scola
cu o cappiello 'n mano,
i' me facesse perdunà
parlanno chiano, chiano.
E mmo me vire:
penzo a tte comm'a chell'ata
penz'a tte si fusse stata,
comme fusse stata tu
'o primm'ammore
'o primm'ammore
ca te fotte sempe,
e nun t'o lieve d'o core;
'o primm'ammore
'o primm'ammore
te fotte sempe,
ma 'o primm è sempe 'o "migliore".
(lei) Ammore, songo sempe nnammurata
comme 'na guagliona,
ma 'o tiempo perzo
quanno nun ce stive,
nun mo dà nisciuno:
i' te vurria veré cumm'ere,
pe ssentì stu core,
che sbatte forte comme l'onna
scura dint' o mare.
E tutto o iourno
penz'a tte comm'a chell'ata
penz'a tte pecché si statta,
penz'a tte pecché si ttu:
'o primm'ammore
'o primm'ammore
ca te fotte sempe,
e nun t'o lieve d'o core;
'o primm'ammore
'o primm'ammore
te fotte sempe,
ma 'o primm è sempe 'o "migliore".
giovedì 5 agosto 2010
5 agosto 2010
......E il tempo non s'innamora
due volte
di uno stesso uomo;
abbiamo la consistenza lieve
delle foglie:
ma ci teniamo la notte, per mano,
stretti fino all'abbandono,
per non morire da soli
quando il vento ci coglie....
R. Vecchioni: La stazione di Zima
due volte
di uno stesso uomo;
abbiamo la consistenza lieve
delle foglie:
ma ci teniamo la notte, per mano,
stretti fino all'abbandono,
per non morire da soli
quando il vento ci coglie....
R. Vecchioni: La stazione di Zima
lunedì 2 agosto 2010
2 agosto 2010
Ciao amici, ho letto questo articolo scritto su Schermaonline, l'ho trovato molto bello ed interessante; pieno di considerazioni che ci dovrebbero far fare profonde riflessioni.
L'atletica è uno sport fantastico.
Non è un caso che venga definita la 'Regina degli sport'.
Stadi pieni di spettatori paganti di tutte le età, facce divertite, striscioni, tifo educato e pieno di fair play, luci, e colori: tanti colori.
E poi, decine di specialità per tutti i gusti, gare avvincenti, prestazioni talora ai limiti delle possibilità umane, telecronache interessanti e piene di verve tenute da una serie nutrita di campioni del passato.
Si rimane per ore davanti alla TV col piacere di assistere a una serie di immagini altamente spettacolari e, soprattutto, con la consapevolezza di ammirare atleti che raggiungono tempi e misure talora incredibili.
Ragazzi e ragazze con fisici impressionanti, che si allenano due volte al giorno tutto l'anno, con ogni tempo, senza lamentarsi mai.
Atleti che esplorano continuamente i limiti della fatica, che sanno cosa significa soffrire, che conoscono bene l'importanza di un'alimentazione corretta, di uno stile di vita regolare, di abitudini sane.
In questa vetrina fantastica, la maggiore delusione è venuta proprio dall'Italia, che non è stata in grado di vincere nemmeno un oro.
Al di là del numero delle medaglie, però, la nostra squadra è andata maluccio nel complesso, per lo meno rispetto alle proprie tradizioni gloriose.
L'amara realtà è che allo stato attuale non ci sono purtroppo campioni in grado di primeggiare, e sono pochi perfino quelli che in una prospettiva futura potrebbero acquisire una dimensione vincente a livello internazionale.
L'unico fuoriclasse vero, Andrew Howe, ha evidenziato dei limiti attualmente insuperabili, connessi a una condizione fisica ancora non perfetta dopo l'intervento al tendine d'Achille.
Sarebbe interessante analizzare le cause di un calo così evidente in uno sport che negli ultimi cinquant'anni ha prodotto un gran numero di campioni europei, mondiali e olimpici, come Berruti, Frinolli, Ottoz, Pamich, Dionisi, Arese, Pigni, Mennea, Fiasconaro, Dorio, Cova, Antibo, Andrei, Panetta, Damilano, Scartezzini, Simeoni, Bordin, Baldini.
A fronte degli insuccessi degli azzurri, sono apparsi impressionanti i risultati della Russia, della Gran Bretagna, della Francia e della Germania: squadroni zeppi di giovanissimi fuoriclasse assoluti, molti dei quali faranno sicuramente parlare di sé ai prossimi Giochi di Londra 2012.
Nettamente superiori a noi, però, sono stati purtroppo anche paesi che, per lo meno in atletica, fino a pochi anni fa ci stavano dietro: Spagna, Ucraina, Polonia, Bielorussia, e perfino Turchia e Belgio.
In parole povere: negli anni dal 1970 al 2000 l'atletica italiana era tra le prime dieci al mondo, mentre ora siamo circa quindicesimi solo in Europa, e nulla lascia pensare a un futuro radioso.
A parziale scusante, c'è l'evidenza che l'atletica leggera è praticata veramente in tutti gli angoli del globo, e che dunque il livellamento dei valori e la competitività sono elevatissimi.
Le tradizioni servono relativamente a poco, inoltre, se non sono supportate da un lavoro di formazione dei tecnici e, soprattutto, da un'operazione di selezione dei talenti sportivi, che una volta nel nostro paese partiva già dalle scuole medie, mediante i Giochi della Gioventù, mentre ora appare del tutto deficitaria.
Il calcio sta prendendo il sopravvento su tutto, insomma, nell'ambito di un'organizzazione che tuttavia all'apice della piramide selettiva porta oramai in serie A un numero infinitesimale di ragazzi, col risultato che anche la nazionale del pallone è in grave crisi, come si è visto agli ultimi Mondiali sudafricani.
Lo sport italiano, insomma, malgrado i risultati della scherma e di poche altre discipline, non appare in una salute strepitosa: basti pensare - non senza una certa invidia - alle vittorie dei 'cugini' spagnoli nel calcio, nel basket, nel tennis e nel ciclismo, per citare solo alcuni tra gli sport più prestigiosi e seguiti dal pubblico.
Certo, al pensiero della stupefacente spettacolarità dell'atletica, le opache, un po' meste e soporifere immagini televisive dei recenti Europei di Lipsia, ambientate in un palazzo dello sport privo di spettatori 'veri', destano grande perplessità, mista a una certa tristezza: come potranno riuscire, in queste condizioni, il fioretto la sciabola e la spada a tirarsi fuori da una dimensione di nicchia?
Ma soprattutto: ha voglia il mondo della scherma di uscire realmente da questa dimensione?
Per farcela, dovrebbe attivarsi a livello di comunicazione, innescare un dibattito interno scevro di dinamiche di potere fini a se stesse, e crescere in creatività, spirito di iniziativa, apertura alle novità, adattabilità ai cambiamenti.
Certo, a giudicare dalle qualità e dalle caratteristiche espresse (o forse sarebbe meglio dire 'inespresse') dal popolo schermistico italiano, non solo in questo sito, c'è poco da stare allegri.
Nella scherma, tanto per parlare di comunicazione, l'attività relazionale più praticata appare quella dei soliti quattro gatti che proseguono senza sosta a perdere tempo e a disperdere energie per farsi le guerre sul piano personale e spararsi accuse, ingiurie, offese e querele a getto continuo.
Problemi che documentano essenzialmente la mancanza di una sufficiente dose di autoironia, l'intolleranza di fondo alle critiche, la persistenza di un'autoreferenziale retorica di potere tronfia di prosopopea narcisistica, di 'leinonsachisonoio', di improbabili 'io non parlo perché ho un ruolo istituzionale', ai quali non crede nessuno e che hanno ben poco senso: viviamo in un paese, infatti, in cui la quasi totalità delle cariche istituzionali dello Stato se ne dice e ne fa di tutti i colori, ma nella scherma alcuni la fanno fin troppo lunga e se la tirano oltremisura solo perchè rivestono una delle innumerevoli, oscure cariche dirigenziali che nel mondo dello sport non si negano a nessuno, e nella quale si sentono fin troppo compenetrati.
Gli uomini piccoli piccoli vivono e godono dell'ipocrita ossequiosità di quelli ancor più piccoli di loro, perdendo di vista la realtà.
In conclusione, molti indicatori evidenziano una preoccupante incapacità ad avere una visione realmente democratica della convivenza civile in una micro-community di poche migliaia di abitanti.
Il dramma è che anche i giovani, e perfino gli atleti, cominciano ad assumere gli stessi comportamenti e ad attivare le dinamiche perverse dei propri predecessori più attempati: il che rappresenta la mazzata definitiva al tenace ottimismo di qualche eventuale sconsiderato.
Matteo Tagliariol - che peraltro ha il pregio di essere l'unico atleta della nazionale ad essere iscritto a schermaonline - nel proprio blog ha rispolverato un mio vecchio video di Paolo Milanoli: ecco un personaggio realmente capace di prendersi in giro e di vedere la realtà con uno sguardo ironicamente umoristico, sdrammatizzante e, perché no, perfino un po' cinico. Ce ne fossero ancora, di atleti come lui.
Siamo dunque costretti a vivere, o a sopravvivere, nella speranza che un domani si possa finalmente tentare di creare una scherma più moderna e, soprattutto, divertente.
Sarà la mancanza di aria pura e l'abitudine a luoghi chiusi e maleodoranti la causa di tutto?
L'atletica è uno sport fantastico.
Non è un caso che venga definita la 'Regina degli sport'.
Stadi pieni di spettatori paganti di tutte le età, facce divertite, striscioni, tifo educato e pieno di fair play, luci, e colori: tanti colori.
E poi, decine di specialità per tutti i gusti, gare avvincenti, prestazioni talora ai limiti delle possibilità umane, telecronache interessanti e piene di verve tenute da una serie nutrita di campioni del passato.
Si rimane per ore davanti alla TV col piacere di assistere a una serie di immagini altamente spettacolari e, soprattutto, con la consapevolezza di ammirare atleti che raggiungono tempi e misure talora incredibili.
Ragazzi e ragazze con fisici impressionanti, che si allenano due volte al giorno tutto l'anno, con ogni tempo, senza lamentarsi mai.
Atleti che esplorano continuamente i limiti della fatica, che sanno cosa significa soffrire, che conoscono bene l'importanza di un'alimentazione corretta, di uno stile di vita regolare, di abitudini sane.
In questa vetrina fantastica, la maggiore delusione è venuta proprio dall'Italia, che non è stata in grado di vincere nemmeno un oro.
Al di là del numero delle medaglie, però, la nostra squadra è andata maluccio nel complesso, per lo meno rispetto alle proprie tradizioni gloriose.
L'amara realtà è che allo stato attuale non ci sono purtroppo campioni in grado di primeggiare, e sono pochi perfino quelli che in una prospettiva futura potrebbero acquisire una dimensione vincente a livello internazionale.
L'unico fuoriclasse vero, Andrew Howe, ha evidenziato dei limiti attualmente insuperabili, connessi a una condizione fisica ancora non perfetta dopo l'intervento al tendine d'Achille.
Sarebbe interessante analizzare le cause di un calo così evidente in uno sport che negli ultimi cinquant'anni ha prodotto un gran numero di campioni europei, mondiali e olimpici, come Berruti, Frinolli, Ottoz, Pamich, Dionisi, Arese, Pigni, Mennea, Fiasconaro, Dorio, Cova, Antibo, Andrei, Panetta, Damilano, Scartezzini, Simeoni, Bordin, Baldini.
A fronte degli insuccessi degli azzurri, sono apparsi impressionanti i risultati della Russia, della Gran Bretagna, della Francia e della Germania: squadroni zeppi di giovanissimi fuoriclasse assoluti, molti dei quali faranno sicuramente parlare di sé ai prossimi Giochi di Londra 2012.
Nettamente superiori a noi, però, sono stati purtroppo anche paesi che, per lo meno in atletica, fino a pochi anni fa ci stavano dietro: Spagna, Ucraina, Polonia, Bielorussia, e perfino Turchia e Belgio.
In parole povere: negli anni dal 1970 al 2000 l'atletica italiana era tra le prime dieci al mondo, mentre ora siamo circa quindicesimi solo in Europa, e nulla lascia pensare a un futuro radioso.
A parziale scusante, c'è l'evidenza che l'atletica leggera è praticata veramente in tutti gli angoli del globo, e che dunque il livellamento dei valori e la competitività sono elevatissimi.
Le tradizioni servono relativamente a poco, inoltre, se non sono supportate da un lavoro di formazione dei tecnici e, soprattutto, da un'operazione di selezione dei talenti sportivi, che una volta nel nostro paese partiva già dalle scuole medie, mediante i Giochi della Gioventù, mentre ora appare del tutto deficitaria.
Il calcio sta prendendo il sopravvento su tutto, insomma, nell'ambito di un'organizzazione che tuttavia all'apice della piramide selettiva porta oramai in serie A un numero infinitesimale di ragazzi, col risultato che anche la nazionale del pallone è in grave crisi, come si è visto agli ultimi Mondiali sudafricani.
Lo sport italiano, insomma, malgrado i risultati della scherma e di poche altre discipline, non appare in una salute strepitosa: basti pensare - non senza una certa invidia - alle vittorie dei 'cugini' spagnoli nel calcio, nel basket, nel tennis e nel ciclismo, per citare solo alcuni tra gli sport più prestigiosi e seguiti dal pubblico.
Certo, al pensiero della stupefacente spettacolarità dell'atletica, le opache, un po' meste e soporifere immagini televisive dei recenti Europei di Lipsia, ambientate in un palazzo dello sport privo di spettatori 'veri', destano grande perplessità, mista a una certa tristezza: come potranno riuscire, in queste condizioni, il fioretto la sciabola e la spada a tirarsi fuori da una dimensione di nicchia?
Ma soprattutto: ha voglia il mondo della scherma di uscire realmente da questa dimensione?
Per farcela, dovrebbe attivarsi a livello di comunicazione, innescare un dibattito interno scevro di dinamiche di potere fini a se stesse, e crescere in creatività, spirito di iniziativa, apertura alle novità, adattabilità ai cambiamenti.
Certo, a giudicare dalle qualità e dalle caratteristiche espresse (o forse sarebbe meglio dire 'inespresse') dal popolo schermistico italiano, non solo in questo sito, c'è poco da stare allegri.
Nella scherma, tanto per parlare di comunicazione, l'attività relazionale più praticata appare quella dei soliti quattro gatti che proseguono senza sosta a perdere tempo e a disperdere energie per farsi le guerre sul piano personale e spararsi accuse, ingiurie, offese e querele a getto continuo.
Problemi che documentano essenzialmente la mancanza di una sufficiente dose di autoironia, l'intolleranza di fondo alle critiche, la persistenza di un'autoreferenziale retorica di potere tronfia di prosopopea narcisistica, di 'leinonsachisonoio', di improbabili 'io non parlo perché ho un ruolo istituzionale', ai quali non crede nessuno e che hanno ben poco senso: viviamo in un paese, infatti, in cui la quasi totalità delle cariche istituzionali dello Stato se ne dice e ne fa di tutti i colori, ma nella scherma alcuni la fanno fin troppo lunga e se la tirano oltremisura solo perchè rivestono una delle innumerevoli, oscure cariche dirigenziali che nel mondo dello sport non si negano a nessuno, e nella quale si sentono fin troppo compenetrati.
Gli uomini piccoli piccoli vivono e godono dell'ipocrita ossequiosità di quelli ancor più piccoli di loro, perdendo di vista la realtà.
In conclusione, molti indicatori evidenziano una preoccupante incapacità ad avere una visione realmente democratica della convivenza civile in una micro-community di poche migliaia di abitanti.
Il dramma è che anche i giovani, e perfino gli atleti, cominciano ad assumere gli stessi comportamenti e ad attivare le dinamiche perverse dei propri predecessori più attempati: il che rappresenta la mazzata definitiva al tenace ottimismo di qualche eventuale sconsiderato.
Matteo Tagliariol - che peraltro ha il pregio di essere l'unico atleta della nazionale ad essere iscritto a schermaonline - nel proprio blog ha rispolverato un mio vecchio video di Paolo Milanoli: ecco un personaggio realmente capace di prendersi in giro e di vedere la realtà con uno sguardo ironicamente umoristico, sdrammatizzante e, perché no, perfino un po' cinico. Ce ne fossero ancora, di atleti come lui.
Siamo dunque costretti a vivere, o a sopravvivere, nella speranza che un domani si possa finalmente tentare di creare una scherma più moderna e, soprattutto, divertente.
Sarà la mancanza di aria pura e l'abitudine a luoghi chiusi e maleodoranti la causa di tutto?
domenica 1 agosto 2010
1 agosto 2010
Ciao amici....è proprio vero....l'ho sempre sentito dire...ora lo sto capendo, lo sto "sentendo"...si vede tutto con occhi diversi, si ascolta meglio una voce, un rumore, tutto ciò che ci circonda; si "cercano" gli odori, i profumi; i colori sono più belli...il cielo azzurro diventa un'emozione, le nuvole, fantasia da collocare in un quadro bellissimo!!Cerco di cogliere l'essenza di ogni secondo che scorre, cerco di viverlo, di apprezzarlo!!!
Ciao amici buona domenica.
Ciao amici buona domenica.
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