giovedì 14 giugno 2012
14 giugno 2012
Il Fatto Quotidiano Blog di Peter Gomez
Anti-corruzione...
Sono stati sette giorni da brivido. E non solo per lo spread che sale, la borsa che crolla, la disoccupazione che aumenta. A far accapponare la pelle sono una serie di avvenimenti che spiegano bene come ormai buona parte dell’equipaggio del Titanic-Italia abbia abbandonato ogni proposito di tentare di governare la nave e pensi esclusivamente ad occupare le ultime scialuppe disponibili. Il secondo paese più corrotto d’Europa (significativamente dopo la Grecia) ha ormai deciso di schiantarsi. Non c’è nessuna correzione di rotta. Non c’è nessun esempio che possa indurre alla fiducia i passeggeri (ovvero i cittadini).
Per rendersene conto non servono i radar. Bastano i giornali e i siti internet. Media che, per somma sfortuna degli italiani, hanno una buona diffusione anche tra i tanto mitici mercati. Ovvero tra quei signori che dovrebbero decidere se prestarci i soldi e a quali condizioni.
L’orribile settimana si apre martedì 6 giugno, quando palazzo Madama sceglie di non arrestare il senatore Sergio De Gregorio, e si chiude mercoledì 13, con tre voti di fiducia su una modesta e quasi umoristica legge anti-corruzione che, prevedibilmente, sancirà il divieto di candidare condannati solo a partire dal 2018.
Veniamo però ai fatti. Partendo dall‘affaire De Gregorio. Il parlamentare Pdl è accusato di aver rubato ai cittadini 23 milioni di euro grazie a una truffa sui contributi pubblici all’editoria che L’Avanti di Valter Lavitola ha incassato senza praticamente vendere una copia. Ma visto che non si tratta di soldi loro e che, in fondo, di problemi con il furto di soldi destinati alla stampa di partito ce li hanno in molti, martedì i no sono 169, i sì 109 sì, mentre 16 senatori pilatescamente si astengono.
Lo stesso giorno Pd e Pdl, col gentile contributo di Udc e Lega, si spartiscono le nomine dei membri delle autorità di garanzia. La legge dice che dovrebbero sedere su quelle poltrone solo persone che “assicurano indipendenza” e di “riconosciuta competenza”. Così, tra gli altri, alla privacy ci finisce l’ex capogruppo del Pd, Antonello Soro, che oltre ad essere un uomo di partito è pure dermatologo. Mentre alle comunicazioni viene confermato Antonio Martusciello, ex dirigente Fininvest, fondatore di Forza Italia, ex deputato, poi sottosegretario al ministero dell’Ambiente e presidente di una compagnia aerea.
È una porcata in piena regola. Certificata, 24 ore dopo, persino da Pierluigi Bersani. Il segretario infatti di fronte alle polemiche dice: : “Abbiamo una storia alle spalle su tutti questi temi e non c’è nessun innocente”.
Passano esattamente cinque giorni, caratterizzati dalla crisi delle banche spagnole e il conseguente intervento europeo che spinge la speculazione a puntare sull’Italia. Il 12 giugno la giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama esamina il caso dell’ex tesoriere della Margherita, Luigi Lusi. La vicenda è nota: l’ex boy-scout di milioni ne ha fatti sparire una cinquantina. Questa volta arriva un parere favorevole all’arresto. Vota però contro il Pdl. Il relatore Ferruccio Saro, per giustificare la decisione non osa dire che Lusi è un perseguitato per motivi politici. Più modestamente spiega che se il collega dovesse finire in manette verrebbe lesa “l’integrità”, nel suo “plenum”, del Senato. Una tesi strampalata che però, alla luce di quanto accaduto con il voto segreto su De Gregorio, rischia di trovare in aula molti estimatori.
Si arriva a mercoledì 13. Data da tenere a mente. Per far passare le modeste norme anti-mazzette presentate dal governo servono tre voti di fiducia. Con un risultato finale che lascia a bocca aperta. Salvo miracoli – una legge delega esercitata dall’esecutivo nel giro di pochissimi mesi – il divieto di candidare condannati scatterà solo nel 2018. Sulla corruzione invece si va avanti più o meno come prima. In compenso la riforma della concussione, che come chiarito dal responsabile dell’ufficio giuridico dell’Ocse, Nicola Bonucci, in Europa nessuno ci ha chiesto, finirà per far prescrivere fin da subito i capi d’imputazione più gravi contestati all’ex capo della segreteria di Bersani, Filippo Penati (ora si prescrivono nel 2017). E darà una grossa speranza pure a Silvio Berlusconi sulla parte penalmente più grave del caso Ruby (le telefonate in questura per spingere i funzionari a liberarla).
Non tanto perché il suo processo verrà cancellato dal colpo di spugna del tempo nel 2020 invece che nel 2024. Ma perché in presenza di una nuova norma (la concussione per induzione, cioè senza violenza o minacce), gli avvocati faranno il diavolo a quattro per far ricominciare il dibattimento da zero. E se i tribunali dovessero loro dare torto stabilendo che c’è una continuità normativa tra la fattispecie vecchia e quella nuova, alla fine l’ultima parola (con risultati imprevedibili) spetterà alla cassazione a sezioni unite.
Insomma nel giro di sette giorni a una porcata segue una furbata.
Tutto questo però ha un costo altissimo. Scegliere, ormai lo si può dire, non come premier, ma come curatore fallimentare della Repubblica Italiana un uomo ritenuto internazionalmente credibile come Mario Monti, è stato purtroppo inutile. Con un parlamento e con i partiti che sostengono il suo esecutivo di questo tipo, il destino del Titanic-Italia appare segnato. E questo al di là dei (molti) errori di Monti.
A nessuna persona sana di mente può venire la tentazione di fare affari o dare credito a un Paese governato (o meglio gestito) da gente del genere. Prendersela con i tedeschi, con il fato, con i cattivi della finanza internazionale, ha davvero poco senso. Perché chi ci porta verso un sempre più probabile naufragio, non è la tempesta, ma chi la nave l’ha condotta, e la sta ancora conducendo, dentro.
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