Copia privata: la sconfitta della legalità e della trasparenza
Di : Guido Scorza da il Fatto Quotidiano
Da domani, pagheremo, tra l’altro, quasi 5 euro all’acquisto di uno smartphone o di un tablet da 32 Gb, 5,20 per un PC, 0,36 centesimi di euro all’acquisto di una pendrive usb da 4 Gb e tanto di più se maggiore ne sarà la capacità di memorizzazione.
Sono oltre cento milioni di euro all’anno che usciranno dalle nostre tasche e andranno ad ingrassare i conti dell’industria dei contenuti, degli autori – specie di quelli più ricchi giacché il riparto degli importi raccolti avviene secondo oscuri criteri che premiano pochi e sacrificano molti – e, soprattutto, della Siae che trattiene una cospicua percentuale, da diversi milioni di euro, a titolo di “costi di gestione”.
Ma il punto non è questo. Tanto per cominciare il ministro Dario Franceschini – cui la legge impone di aggiornare le tariffe della copia privata ogni tre anni ma non necessariamente di aumentarle – ha disposto gli aumenti in questione, in particolare su smartphone e tablet – pur disponendo di una ricerca di mercato, commissionata dal suo predecessore, Massimo Bray, nella quale si mette nero su bianco che la percentuale di italiani che utilizzano tali dispositivi per fare, davvero, una copia privata non arriva al dieci per cento.
E’ curioso, al riguardo, osservare che la ricerca in questione, dopo essere stata, per qualche giorno, pubblicata sul sito del Ministero dei Beni e delle Attività culturali nella sezione nella quale secondo lo stesso Mibac sarebbe “pubblicata la documentazione esaminata ai fini dell’aggiornamento dell’equo compenso”, oggi non vi compare più. Un errore provvidenziale o un puerile tentativo di nascondere agli occhi dei curiosi una scomoda verità [per chi fosse interessato il testo della ricerca è disponibile qui]?
Ma non basta. Il ministro Dario Franceschini, infatti, da ieri va ripetendo che, nonostante gli aumenti, le tariffe italiane restano ampiamente al di sotto della media europea e, al Ministero, nel vano tentativo di supportare questa autentica “menzogna di Stato”, hanno pensato bene di diffondere, assieme al comunicato stampa, una simpatica tabellina intitolata “Ecco le principali novità ed un confronto con la Ue”. Una forma di comunicazione istituzionale rara e straordinariamente efficace.
Peccato solo che la tabella confronti le più basse tra le nuove tariffe varate dal ministro non con la media europea, come il titolo indurrebbe ad attendersi, ma con quelle vigenti solo in Francia e Germania ovvero nei due dei 23 Paesi nei quali vige la regola dell’equo compenso in cui le tariffe sono più alte.
Ce n’è abbastanza per chiedere conto al ministro di una tanto curiosa decisione ma, purtroppo, non basta ancora. I redattori della tabella, infatti, essendosi evidentemente accorti che in Germania le tariffe dell’equo compenso per cd e dvd sono decisamente più basse rispetto alle tariffe appena approvate, hanno pensato bene di nasconderne i dati dietro ad un dilettantesco “non disponibili”, quasi si trattasse dei dati sulle precipitazioni nevose di una qualche remota zona alpina.
Peccato che le tariffe in questione siano pubblicate da mesi nello stesso rapporto dell’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale dal quale provengono tutti gli altri dati inseriti in tabella. Davvero curioso che le tariffe francesi e tedesche maggiori di quelle italiane siano disponibili e quelle inferiori siano date, invece, per “non disponibili”. E’ inaccettabile che un Ministero di un governo che continua a predicare trasparenza si dimostri tanto poco trasparente.
Ma non basta ancora. Perché il punto non è solo ciò che il Ministero finge di non sapere ricorrendo a espedienti di comunicazione di almeno dubbia correttezza. Il punto è che il ministro Franceschini sa – o, almeno, dovrebbe sapere – che nel 2012, in Italia è stato raccolto a titolo di equo compenso per copia privata un importo superiore rispetto a quello raccolto in ogni altro Paese europeo, eccezion fatta per la sola Francia. Lo dice – e dimostra numeri alla mano – ancora una volta, lo stesso Studio dell’organizzazione mondiale della proprietà intellettuale dal quale al Ministero hanno estrapolato i dati attraverso i quali vorrebbero convincere giornalisti e consumatori italiani del fatto che le nuove tariffe sono più basse di quelle applicate nel resto d’Europa.
Non è così o, almeno, non lo è stato nel 2012, ovvero nell’ultimo anno al quale si riferiscono i dati disponibili. Ma le mezze verità del Ministero nell’annunciare il varo delle nuove tariffe non finiscono qui. Non è vero, ad esempio, che l’equo compenso non debbano pagarlo i consumatori ma i produttori di tecnologia. Regole Ue e leggi nazionali stabiliscono l’esatto contrario e, in Francia – Paese al quale il ministro sembra guardare come importante riferimento quando si tratta di aumentare le tariffe – dal 1° aprile, i venditori di supporti e dispositivi sono addirittura obbligati ad esporre, assieme al prezzo, l’importo dell’equo compenso da versarsi.
Egualmente, il ministro nel ricordare, nel suo comunicato stampa, di aver aumentato le tariffe come richiesto da 4mila autori, dimentica – ed è davvero grave – degli oltre 60mila consumatori italiani che gli hanno chiesto, sulla base di una ricerca di mercato commissionata dallo stesso Ministero, l’esatto contrario. Curiosa regola di governo della cosa pubblica quella per la quale 4mila “voti” di chi vuole un fiume di denaro, valgono di più di 60mila “voti” di chi quel fiume di denaro dovrà pagare, pur in presenza di una ricerca che suggerirebbe l’esatto contrario.
E’ l’ennesima brutta storia italiana ed è un peccato che si consumi proprio nel ministro che dovrebbe garantire la promozione e tutela della nostra cultura. Non ha vinto nessuno ma abbiamo perso tutti perché hanno perso la legalità e la trasparenza.